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25 Aprile: MORTE DI UNA NAZIONE SOVRANA - III° parte 

NERO ITALICO
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12 сен 2024

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Комментарии : 71   
@NEROITALICO
@NEROITALICO 8 лет назад
Una delle cose fastidiose dell'antifascismo è quando vuole presentarsi come "contestatore". Ora, hai "vinto la guerra" (non è andata proprio così, ma questo è ciò che dicono)? E allora oggi sei conservatore, non contestatore. Il presente, questo splendido presente, è tutto tuo, caro antifascista: l'hai fatto tu, ne sei responsabile. Tu sei le basi americane, i mercati finanziari, Razzi, Scilipoti, l'analfabetismo funzionale, i suicidi per la crisi, il governo delle banche, la freschezza giovanile di Mattarella, gli assassini di Stefano Cucchi, i reality show, Amici di Maria de Filippi, le stragi dei servizi, Ustica, il rapimento Moro, la puzza di piscio a Piazza Vittorio, Fabio Volo, la metro B, i grillini, gli immigrati che vi occupano casa, la droga che vi fotte il cervello, le morti del sabato sera, Barbara d'Urso, le maestre d'asilo che alzano le mani sui bambini, la Democrazia Cristiana, Renzi, Berlusconi, il Wto, la Nato, Obama e Fedez. Tu nonno ha "combattuto" per questo, ci ha regalato questo, è questo che oggi si festeggia. È questo che tu sei! citazione
@lillo3009
@lillo3009 9 лет назад
Fateci caso, gli unici due momenti storici in cui l'Italia era davvero indipendente sono: *L'IMPERO ROMANO* (A CUI SI ISPIRÒ MUSSOLINI) E... *IL VENTENNIO FASCISTA!* QUESTO STA AD INDICARE CIÒ CHE DICI TU, NERO ITALICO , *FASCISMO ED ITALIA SONO UN BINOMIO INSCINDIBILE!!!*
@NEROITALICO
@NEROITALICO 9 лет назад
Il 25 Aprile non può essere una festa nazionale. Una festa di odio e divisione, accompagnata fra l'altro da ignobili atti che tanti partigiani commisero in guerra e addirittura dopo la guerra. Festeggiamo invece un momento di unità e di Vittoria del popolo italiano come il 24 Maggio, dove i nostri bisnonni UNITI scrissero eroicamente i confini della nostra nazione. Guardiamo avanti, per l'Italia! Libertà è farsi stampare il denaro da una banca privata straniera? Libertà è chiudere un'azienda in Italia e riaprirla in Cambogia per usare gli schiavi? Libertà è far marcire la frutta italiana sugli alberi per comprare quella nordafricana? Libertà è avere da anni presidenti del consiglio non eletti, o un governo sostenuto da un partito (NCD) che nessuno ha votato alle elezioni nazionali? Io dico di no. ...E adesso che è il 26 aprile, che scusa avete per non aver fatto niente in 70 anni? Simone Di Stefano CasaPound Italia
@fedefede.
@fedefede. 9 лет назад
NERO ITALICO ....Concordo con il filmato appena visto,eventi che ben sapevo...I partigiani?..scalzi con le pezze al culo in cerca di cibo,questa era la loro guerra.
@NEROITALICO
@NEROITALICO 9 лет назад
“Uno schianto, non una lagna”. Piazzale Loreto, 70 anni dopo (Il Primato Nazionale) Roma, 29 apr - “La storia italiana non ha episodi così atroci come quello del piazzale Loreto. Nemmeno le tribù antropofaghe infieriscono sui morti. Bisogna dire che quei linciatori non rappresentano l’avvenire, ma i ritorni all’uomo ancestrale (che, forse, era moralmente più sano dell’uomo civilizzato). Né giova ributtare sulla guerra l’origine unica di questa ferocia. I linciatori di piazzale Loreto non videro mai una trincea: si tratta di imboscati o di minorenni che non hanno fatto la guerra. I reduci di guerra sono, in genere, alieni dalle violenze”. Sembra di essere di fronte a una descrizione perfetta di quanto, esattamente 70 anni fa, avvenne nella nota piazza milanese sui cadaveri di Benito Mussolini e degli altri gerarchi del fascismo. E invece si resterà sorpresi a leggere la data in cui queste parole furono vergate: 26 giugno 1920. Si resterà addirittura esterrefatti a leggere il nome dell’autore: Benito Mussolini stesso. L’articolo si riferisce alla barbara uccisione, in piazzale Loreto appunto, del vicebrigadiere dei Carabinieri Giuseppe Ugolini, tirato giù dal tram sul quale si trovava, fuori servizio, dai partecipanti a una manifestazione socialista, e finito a coltellate. Insomma, se “Piazzale Loreto è per gli italiani e gli stranieri la piazza più tragica d’Italia”, come ha spiegato l’ultimo federale di Milano, Vincenzo Costa, va detto che la tragedia non inizia il 29 aprile 1945, ma molto prima. Cosa che del resto gli stessi antifascisti non cessano di ricordare, per “contestualizzare” lo scempio fatto sui cadaveri dei gerarchi fascisti, ma in riferimento non certo a questo primo delitto - di marca appunto “progressista” - bensì ai noti fatti dell’agosto 1944. La spirale di violenza inizia l’8 agosto 1944, quando un camion tedesco parcheggiato in viale Abruzzi, a Milano, esplode in un misterioso attentato. Sull’episodio, a distanza di 70 anni, restano una serie di interrogativi. A cominciare dal numero e dall’identità delle vittime. La storiografia ufficiale parla di 6 morti, fra cui nessun soldato tedesco (viene spesso citato, a tal proposito, un rapporto della Guardia nazionale repubblicana). Il già citato Costa, nelle sue memorie, parla di sette vittime: cinque soldati tedeschi e due popolane milanesi. Secondo altre ricerche, le vittime furono addirittura 18: cinque soldati tedeschi (che non sarebbero stati annotati nei registri civili italiani) e 13 civili italiani, di cui si forniscono addirittura i nomi: Giuseppe Giudici 59 anni; Enrico Masnata e Gianfranco Moro entrambi di 21 anni, Giuseppe Manicotti 27 anni, Amelia Berlese 49 anni, Ettore Brambilla 46 anni, Antonio Beltramini 55 anni; Fino Re 32 anni, Edoardo Zanini, 30 anni; i ragazzini Primo Brioschi di anni 12; Gianfranco Barbigli di anni 13 e Giovanni Maggioli di 16. Aveva appena 5 anni il piccolo Gianstefano Zatti. Fra i soldati tedeschi è stato spesso ricordato un certo Karl, che per l’indole bonaria e la grande mole pare fosse soprannominato dai milanesi “El Carlùn”. I morti dell’agosto del ’44 Sempre secondo Costa - ma la notizia sarà ripresa poi da Pisanò e da tutta la storiografia revisionista - il camion tedesco si trovava in viale Abruzzi per distribuire viveri alla popolazione. Un modo, da parte dei tedeschi, per far superare ai milanesi la diffidenza verso le armate germaniche. L’attentato, se così fosse, avrebbe potuto avere lo stesso scopo di quello di via Rasella, a Roma: suscitare una reazione efferata in modo da gettare un fossato incolmabile fra le forze dell’Asse e la popolazione. Di fatto la bomba non fu rivendicata da nessun gruppo della Resistenza, forse per non assumersi la responsabilità di un atto con così pesanti conseguenze o forse perché fatto da “cani sciolti”. La richiesta di una rappresaglia, da parte dei tedeschi, fu immediata. L’intervento personale di Mussolini fece sì che le vittime fossero “solo” 15. La mattina del 10 agosto 1944, esattamente 15 partigiani furono prelevati dal carcere di San Vittore e portati in piazzale Loreto, dove furono fucilati da un plotone di esecuzione. I loro corpi furono accatastati nel piazzale, con un cartello che li qualificava come “assassini”. I cadaveri furono lasciati esposti fino alle ore 20. Sarà ancora Costa a commentare: “La popolazione passava e guardava inorridita. Il nemico aveva raggiunto il suo scopo”. Dell’attentato e della successiva rappresaglia, l’ultimo federale di Milano dirà anche che fu “un episodio in cui solo Satana risultò vincitore”. Meno di un anno dopo, stesso luogo. Alle 3:40 di domenica 29 aprile una colonna di camion giunge in Piazzale Loreto. Vengono scaricati diciotto cadaveri, fucilati tra Giulino di Mezzegra e Dongo il giorno prima. In quel mucchio di corpi ci sono sei ministri e un sottosegretario del governo della Rsi: Benito Mussolini, Paolo Zerbino, Ruggiero Romano, Augusto Liverani, Fernando Mezzasoma, Alessandro Pavolini e Francesco Maria Barracu. Assieme a loro sono stati uccisi anche Claretta Petacci (il fratello Marcello, che che aveva tentato di scappare gettandosi nel lago, sarà qui raggiunto da una scarica di mitra), il rettore dell’Università di Bologna Goffredo Coppola, l’ex tribuno socialista Nicola Bombacci, il direttore dell’agenzia Stefani, Ernesto Daquanno, il comandante della Brigata nera dI Lucca, Idreno Utimperghe, il colonnello Vito Casalinuovo, e ancora Paolo Porta, Luigi Gatti, Pietro Calistri, Mario Nudi. A Milano, a questi corpi si aggiungono le salme di altri cinque fascisti: uno è Achille Starace, fuori dai giochi da anni e catturato in strada mentre faceva jogging. Pestato a sangue, viene fucilato direttamente a piazzale Loreto, non prima di aver salutato romanamente il corpo del suo capo. Gli altri non si sa chi siano, forse anonimi fascisti o magari ignari passanti uccisi per uno scambio di persona, cosa frequente in quelle giornate. Quando i milanesi si svegliano, la notizia passa di bocca in bocca per tutta la città e ben presto la piazza si riempe. Lo stupore dura poco, presto cede il posto alla ferocia. I cadaveri vengono presi a calci, a sputi. C’è chi vi urina sopra, chi spara ulteriormente sui corpi inermi. Alla Petacci viene alzata la gonna, le si tolgono le mutande. Già alle 11 la situazione non è più governabile e l’idea di appendere i cadaveri più rappresentativi nasce anche per questo. Nel primo pomeriggio, una squadra di partigiani entra in piazza e rimuove i cadaveri, trasportandoli nel vicino obitorio di piazzale Gorini. Ferruccio Parri, allora presidente del Consiglio del Comitato di Liberazione Nazionale, commentò quest’episodio definendolo “una macelleria messicana”, espressione che avrà una certa fortuna diversi decenni dopo. L’episodio ha una grande eco in tutto il mondo e colpisce anche il poeta Ezra Pound, che i conti con la giustizia dei vincitori dovrà farli solo qualche giorno dopo. Il 3 maggio 1945 sarà arrestato da partigiani italiani e consegnato ai militari statunitensi. Dopo qualche settimana nella “gabbia del gorilla”, a Metato, ha un collasso e viene portato in infermeria, dove scrive il canto 74, in cui rilegge in chiave mitologica lo scempio di piazzale Loreto. Mussolini diventa una vittima sacrificale: Digonos, il nato due volte, secondo un appellativo che fu di Dioniso, che fu fatto a pezzi e divorato, ma risorse. L’enorme tragedia del sogno sulle spalle curve del | contadino | Manes! Manes fu conciato e impagliato, | Così Ben e la Clara a Milano | per i calcagni a Milano | Che i vermi mangiassero il torello morto | digonos, ma il due volte crocifisso | dove lo trovate nella storia? | eppure dite questo al Possum: uno schianto, non una lagna, | con uno schianto, non con una lagna, | Per costruire la città di Dioce che ha terrazze color delle stelle, | Gli occhi miti, sereni, non sdegnosi, | fa parte del processo anche la pioggia. Sulla città di Dioce, intanto, le terrazze riflettevano solo nubi cariche di miseria… Adriano Scianca www.ilprimatonazionale.it/cultura/piazzale-loreto-70-anni-dopo-22205/
@NEROITALICO
@NEROITALICO 9 лет назад
I vostri settant'anni In 70 anni avete distrutto una Nazione, un Impero, la fierezza di essere e sentirsi italiani, di andare all’estero a testa alta. In 70 anni avete distrutto un Paese, lo avete privato di dignità,coesione e speranza . In 70 anni avete distrutto il più avanzato Stato sociale d’Europa, il sistema lavoristico e previdenziale più moderno d’Europa, le invenzioni e le creazioni più ardite che il mondo intero ci invidiava. In 70 anni avete fiaccato l’animo e la coscienza di intere generazioni con la vostra gretta logica borghese dell’utilità e del compromesso che vi ostinate a chiamare vivere. In 70 anni avete lordato la bandiera ed i morti che hanno combattuto per essa in Due Guerre Mondiali, prima denigrandola, poi utilizzandola per la vostra sudditanza occidentalista, peraltro, mal ripagata. In 70 anni avete sostituto le grandi opere pubbliche con fatiscenti opere incompiute per il menefreghismo e la corruzione che avete dispensato a piene mani come “educazione civica “ al popolo italiano. In 70 anni avete diviso, corrotto, campato sulle stragi, svenduto il patrimonio pubblico, rubato, mentito, con la connivenza della parte peggiore dei vostri clientes che non meritano di definirsi Italiani. In 70 anni avete spacciato il menefreghismo per “libertà”, la divisione e la faziosità per “democrazia”, le vostre carriere e fortune personali e di famiglia per “diritti umani”. In 70 anni avete approvato leggi che hanno distrutto ogni tipo di vincolo comunitario, ogni coesione sociale, ogni tipo di identità,compresa quella genitoriale, perché la vostra morale viene dal basso . In 70 anni avete distrutto l’idea stessa di gioventù, appiattendo, mortificando ed uccidendo i giovani con falsi miti, con la droga, i divertimenti e gli sballi artificiali, i talent-show, la mistica del cellulare e dello smartphone. Perché li volete così remissivi, inoffensivi, senza Cultura ne’ Storia. In 70 anni avete storpiato la lingua di Dante per il vostro inglese utilizzato per sentirvi dei “cittadini del mondo” mentre siete solo dei cafoni senza identità. In 70 anni avete consentito che le nostre Città, ricche di Arte, di Civiltà,di Storia, fossero ridotte a suq maleodoranti, dove albergano migliaia di disperati nuovi schiavi che avete fatto venire per vostro tornaconto, in nome di altre menzogne che chiamate “accoglienza “e “solidarietà”. In 70 anni avete ucciso i sogni, le idee e avete avvolto tutto in un’aurea mortifera che puzza di soldi e merce che corrompe l’aria ed ha il color grigio delle vostre facce livide e false. In 70 anni avete ucciso il divino che alberga in ognuno e nel Popolo, mortificando lo Spirito e la Trascendenza, proponendo solo sterco, sotto forma di cambiali e rate prima e di spread e tassi di interesse dopo. In 70 anni avete solo distrutto, per niente edificare, ed ora apprestatevi pure a festeggiare il nulla, il deserto che avete creato e che osate chiamare libertà. Sappiamo che avrete la sfrontatezza di farlo, ma non in nome nostro. Noi siamo Italiani, non servi ne’ pecoroni, come quelli che avete allevato con costanza, per conto dello straniero che ivi vi pose 70 anni fa per negarci il futuro. Carlo Bonney
@NEROITALICO
@NEROITALICO 9 лет назад
Guarda e condividi il mio ultimo video "IL FASCISMO E' PER SEMPRE" ru-vid.com/video/%D0%B2%D0%B8%D0%B4%D0%B5%D0%BE-z83N0M2o8ng.html
@NEROITALICO
@NEROITALICO 9 лет назад
Guarda e diffondi il mio nuovo video: 1915 - 2015 I CENTO ANNI DELLA GRANDE GUERRA ru-vid.com/video/%D0%B2%D0%B8%D0%B4%D0%B5%D0%BE-ZcvMrSHHYNU.html
@edoardochiarlitti2477
@edoardochiarlitti2477 8 лет назад
Io non festeggio il 25 Aprile : 1)la fine di una nazione indipendente; 2) la morte di un grande uomo ; 3) la fine della nostra libertà .
@NEROITALICO
@NEROITALICO 9 лет назад
Bastia 1943: gli americani bombardano i civili “liberati” (Il Primato Nazionale) Bastia, 10 ago - Se Hiroshima e Nagasaki hanno conosciuto il terrore della bomba nucleare, lanciata dagli Stati Uniti come una maledizione sui civili giapponesi e le loro generazioni future, sono molte altre le città che hanno assaggiato il metodo terroristico dei bombardieri alleati. Accanto a pagine ormai paradigmatiche come quella di Dresda, in Germania, cancellata da un’ondata di fuoco indiscriminata e senza precedenti (furono colpite più di 20mila case e 22 ospedali, quasi 200 industrie. Il numero delle vittime, trovate ancora a trent’anni di distanza, è tuttora incerto: qualcuno ha parlato di 250mila), anche popolazioni ‘non ostili’ sono state falcidiate dalle bombe democratiche. È il caso grottesco di Bastia, in Corsica, conquistata ufficialmente dagli alleati il 16 settembre 1943 ma dagli stessi bombardata il 4 ottobre successivo, causando la morte di centinaia di civili che stavano festeggiando la fine della guerra. Una beffa atroce per una città già colpita quattro volte dai bombardamenti alleati, ma celebrata come la prima città corsa ‘liberata’. Il paradosso è stato reso possibile da alcune congiunture sfavorevoli: da un lato un guasto nelle comunicazioni del comando alleato, che ha impedito di interrompere la catena degli attacchi aerei alla città; dall’altro gli americani hanno bombardato in modo indiscriminato. Nessuna “bomba intelligente”, nessun attacco mirato a obbiettivi militari o strategici, ma una colata di ordigni che ha travolto Bastia di giorno. Vengono colpiti 724 immobili, e in mezzo a loro, come animali appena usciti dalla tana, trovano la morte i civili che manifestavano per le piazze e le strade la fine della guerra. Saranno oltre 500 i colpiti, oltre 300 i morti. Il vecchio porto di Bastia subisce danni ingenti e ritroverà il ritmo prebellico di scambi commerciali solo negli anni cinquanta. Le vittime corse ingrossano così l’elenco funebre delle migliaia di civili falcidiati dai bombardamenti alleati. Operazioni militari contro obbiettivi civili, che si sarebbero chiamati ‘crimini di guerra’ se a commetterli non fossero stati i vincitori del conflitto. Una volta finita la guerra, infatti, le forze alleate hanno potuto stabilire il confine fra il bene e il male, portato un metro fuori da casa propria. I vinti, per la prima volta nel panorama giuridico, si sono ritrovati ipso facto ‘criminali’ e portati come bestie al circo dei tribunali di Norimberga e Tokyo. Allestito lo spettacolo della giustizia dei vincitori, l’attenzione è stata spostata sul capro espiatorio, consentendo ai prestigiatori alleati di riuscire nel proprio gioco. I cadaveri dei civili falcidiati sono praticamente scomparsi, trasformati in ‘martiri’ caduti per la libertà, in qualche modo addossati, anch’essi, al computo delle condanne inflitte ai combattenti dell’Asse, ormai incellofanati nei costumi totalizzanti del “male assoluto”. Ettore Maltempo www.ilprimatonazionale.it/cultura/bastia-1943-gli-americani-bombardano-i-civili-liberati-28805/
@NEROITALICO
@NEROITALICO 9 лет назад
Guarda e diffondi il mio vuovo video: “La vera storia di Dario Fò nella R.S.I.” ru-vid.com/video/%D0%B2%D0%B8%D0%B4%D0%B5%D0%BE-hyXvTPBUPBQ.html
@nardelliamedeo4831
@nardelliamedeo4831 8 лет назад
Quella gente è stata ,è,sarà sempre opportunista
@NEROITALICO
@NEROITALICO 9 лет назад
Maturità: ignorata la resistenza, solo 9 su 100 scelgono il tema sui partigiani (Il Primato Nazionale) Roma, 18 giu - Che la traccia di carattere storico incentrata sul tema della resistenza fosse ostica, era fuori dubbio. Che venisse ignorata dalla pressoché totalità dei maturandi, non era affatto scontato. Almeno nelle intenzioni. Fatto sta che solo 9 studenti su 100 hanno deciso di affrontare la tipologia C della prova di italiano, incentrata sulla lotta partigiana. LEGGI ANCHE - Maturità, Di Stefano: “Risorgimento e Resistenza? Un parallelo che non esiste” A fare la parte del leone sono stati i temi proposti sulle nuove tecnologie, che hanno fatto incetta di preferenze. Argomenti senza dubbio più attuali, forse più facili da affrontare ma che, d’altra parte, non godono di “coperture” istituzionali onnipresenti. E’ di meno di un anno fa, per esempio, il protocollo siglato dal ministero dell’Istruzione non con Microsoft, Google o Amazon, bensì con l’Anpi, con l’obiettivo di promuovere la Costituzione e la resistenza nelle scuole. “Questo accordo è uno strumento fondamentale per far comprendere a tutti gli studenti il valore della nostra Costituzione e l’importanza della memoria della Resistenza raccontata anche da chi l’ha vissuta in prima persona”, sottolineava a luglio dell’anno scorso il ministro Stefania Giannini. “Ritengo che questa firma assuma una grandissima importanza rispondendo ad una esigenza profonda che emerge dal mondo della scuola e che assicura un’attività continuativa in favore della cittadinanza attiva”, la chiosa di Carlo Smuraglia, presidente Anpi. Una promozione che non pare aver sortito gli effetti sperati. Le bassissime percentuali mostrano invece una realtà diametralmente opposta: gli studenti vedono la resistenza come un argomento “vecchio”, percepito come a carattere politico e quindi rischioso. Il che, peraltro, conferma come la resistenza non sia nell’immaginario collettivo degli italiani. E tanto meno nella cultura condivisa. Filippo Burla www.ilprimatonazionale.it/cultura/maturita-ignorata-la-resistenza-solo-9-su-100-scelgono-il-tema-sui-partigiani-25639/
@luca_scialo
@luca_scialo 8 лет назад
I tuoi video sono sempre interessanti e ben fatti. Mi permetto un suggerimento: perchè non inserisci un sintetizzatore vocale che legga il testo? Così da consentire a chi fa altro al Pc di seguirli ugualmente ascoltando l'audio?
@NEROITALICO
@NEROITALICO 8 лет назад
+Luca Scialò ci ho già provato ma gli effetti sono pessimi. se non ricordo male il video si chiama "pregiudizi sul fascismo"
@luca_scialo
@luca_scialo 8 лет назад
Visto. In effetti l'audio si sente male
@KaKueyZuTo
@KaKueyZuTo 8 лет назад
+NERO ITALICO Nero, prova Camtasia Studio 8. Programma di Editing per i video. Portali a 1080p e con Camtasia puoi anche registrare la voce.
@NEROITALICO
@NEROITALICO 8 лет назад
• HeYeN • grazie per l'indicazione. Lo proverò.
@NEROITALICO
@NEROITALICO 8 лет назад
scaricato.... non ho capito ancora bene come si usa e soprattutto non ho capito cosa dovrei portare a 1080p... cosa sono i 1080p?
@valeriovinco3776
@valeriovinco3776 9 лет назад
Veramente bel video, che racconta la verità... Per il 28 farai qualcosa dato che ricorrono i 70 anni dalla morte di mussolini?
@pol2235
@pol2235 9 лет назад
Grandissimo ti stimo un sacco ho visto tutti i tuoi video e ho scoperto molte cose nuove visto che anche io sono a favore di Mussolini, certo non per tutto come la violenza che ha usato per salire al potere. Nessuno però si ricorda oppure sa che ha rifatto nascere l'economia italiana, ha valorizzato il made in italy e l'agricoltura. Nessuno si ricorda le cose belle che ha fatto ma solo quelle brutte. Ti stimo un sacco e spero che continuerai a fare video più frequentemente
@gianni6373
@gianni6373 8 лет назад
complimenti per il grande lavoro che hai fatto nei tuoi video,post,affermazioni sono fonte di sapere con tanta sete di verità di cui noi possiamo saziarci.
@pasqualegritto5612
@pasqualegritto5612 8 лет назад
la sovranità italiana è durata solo un ventennio!!!
@sebastianovenier5580
@sebastianovenier5580 9 лет назад
Condivisibile.
@NEROITALICO
@NEROITALICO 8 лет назад
Liberiamoci dal 25 aprile e restituiamo il fascismo alla storia d’Italia (Il Primato Nazionale) Roma, 25 apr 2016 - «Liberazione» è una parola dal significato chiaro e inequivocabile. Per questo, 71 anni dopo, sembrerebbe finalmente giunto il momento per mettere seriamente in discussione i presupposti di questa “festa” del 25 aprile, che tutto rappresenta tranne che la restituzione dell’indipendenza e della sovranità per il nostro paese. 71 anni fa, infatti, gli americani portarono a termine la loro guerra imponendo il dominio del dollaro e della (geo)politica a stelle e strisce sull’Italia, e le basi militari sul nostro suolo sono ancora lì a ricordarcelo ogni giorno. Difficile pensare a una “nostra” vittoria: il contributo partigiano fu irrisorio, aspetto che ormai costituisce un dato di fatto a livello storiografico. Ma il 25 aprile “doveva” divenire simbolo soprattutto per via dei partigiani comunisti, che avevano egemonizzato il movimento di Liberazione (tanto da compiere eccidi anche nei confronti dei partigiani bianchi) e sognavano una rivoluzione armata per imporre anche da noi il modello sovietico. Un sistema ben poco democratico, pare di ricordare, tanto che viene da chiedersi come facciano molti a festeggiare ancora oggi parlando di lotta alla barbarie totalitaria fascista da parte di combattenti democratici. Chi decise le sorti della nazione (e il suo collocamento nel blocco atlantico) furono solo le potenze straniere, dando il via a una serie di ingerenze politiche ancora di moda in questi tempi di crisi. Ecco perché si tratta di una ricorrenza sempre meno sentita, rivendicata con orgoglio quasi solo dagli sparuti eredi della “macelleria messicana” e del “triangolo della morte”, gli stessi che si schierarono contro i loro connazionali nel caso delle foibe e dell’esodo istriano, in nome della solidarietà internazionale comunista. Preso atto di ciò, difficile pensare che il 25 aprile possa avere senso per chi combatte per l’autodeterminazione e l’orgoglio della patria. Al contrario, chi volesse dare senso alla propria battaglia non dovrebbe far altro che restituire la pagina relativa agli anni del fascismo al grande libro della storia italiana, per riprendere così in mano il filo rosso della nostra identità perduta. Perché, come ha ricordato Adriano Scianca, il fascismo «seppe farsi forza non solo di massa, ma anche nazionale. Non parliamo solo dei numeri (e negli “anni del consenso” l’adesione all’avventura di Mussolini sfiorò davvero l’unanimità) ma anche di sostanza: istituendo un asse (a torto o a ragione, nella storia, non conta) fra Regime, Grande Guerra e Risorgimento, il fascismo si è inserito indelebilmente in una narrazione collettiva da cui l’antifascismo rimane carnalmente estraneo. Fascismo e Italia, per 20 anni, sono stati sinonimi. Anche fascismo e Stato sono stati a lungo sinonimi, con segni tangibili che restano anche nell’impalcatura statuale di oggi». Le camicie nere ravvivarono la fiamma risorgimentale e si fecero forza delle pulsioni scaturite dalle trincee della Prima guerra mondiale per «fare gli italiani» e trovare una via autonoma allo sviluppo, l’«insubordinazione fondante» (per usare una categoria coniata da Marcelo Gullo) contro i modelli stranieri nel segno del tricolore. Il corporativismo fascista era il frutto della nostra migliore tradizione da Roma fino a Corridoni passando per Mazzini, nell’idea del cittadino richiamato alle più alte responsabilità per una partecipazione attiva e feconda alla vita politica del paese nella sua qualità di lavoratore. La meta era l’identità tra Stato e individuo in nome della collaborazione di classe, per creare una concreta solidarietà organica nazionale: ecco il significato dello Stato etico gentiliano che «trascende l’individuo particolare e lo eleva a membro consapevole di una società spirituale». Tutt’altro che una brutale negazione della democrazia, tanto che Giuseppe Bottai (tra le tante intelligenze da riscoprire del fascismo) parlò di un completamento e un superamento dei principi della Rivoluzione Francese in opposizione alle finzioni demagogiche e al dominio dell’economia che caratterizza le democrazie parlamentari. Con tutti gli errori e le contraddizioni del caso, questo fuoco divenne esempio a livello internazionale (epigoni sorsero in tutto il mondo), come spesso avviene quando si mette all’opera il genio italiano con spirito di comunità. Persino gli Stati Uniti vennero a studiare l’architettura economica e statale della terza via fascista. Il passaggio finale fu segnato, nei mesi disperati della Repubblica Sociale Italiana, dalla socializzazione delle imprese, pagina effimera quanto titanica e tutt’altro che scontata. L’ultimo messaggio di civiltà non solo dei fascisti, ma anche di quell’Italia che sin dai tempi dell’Unità aveva faticosamente cercato il suo posto e la sua autonomia di fronte alle potenze dominanti, che troppo spesso l’avevano limitata. Non è un caso che il primo atto di queste ultime (i “liberatori”) fu proprio lo smantellamento delle più ardite concezioni sociali del Regime, dalla Carta del Lavoro ai Consigli di Gestione socializzati. Finalità: distruggere quegli istituti che avevano segnato indelebilmente la storia italiana e europea contro il materialismo che accomunava Unione Sovietica e Stati Uniti, la «Santa Alleanza dell’egualitarismo» (come l’ha definita acutamente Valerio Benedetti) che avrebbero potuto essere preziosi anche senza il Regime. Proprio allora, con la “vittoria” del 25 aprile, i partiti satelliti di Mosca e Washington (PCI e DC) non seppero raccogliere ciò che di valido rimaneva dell’esperienza fascista, cominciando invece quell’assurda opera di costruzione di un’identità «autorazzista», di cui oggi più che mai si respirano le nefaste conseguenze. Nonostante diverse eccezioni, universalismo cristiano e internazionalismo marxista diedero frutti avvelenati: nessuna fiducia nella propria Nazione, nessuno slancio costruttivo, ripudio dei concetti di «comunità», «Patria», «confine» e delle pagine di civiltà che erano state scritte «per l’onore d’Italia». Tanto che Mattei, per consegnare al paese il miracolo dell’ENI (sorto dall’AGIP fascista), dovette agire in opposizione alle indicazioni partitiche. Insomma, inutile andare a cercare improbabili rivoluzioni dall’altra parte del mondo per combattere il mondialismo, la finanza, l’egemonia americana e le gabbie europee: la via rivoluzionaria e italiana per riappropriarci del nostro destino è ancora lì, dove fu interrotta nel sangue da chi ha sempre odiato i nostri inimitabili slanci. A livello ideale si tratta di fonti ancora vive: non solo Mazzini, ma Berto Ricci, Gentile, Massi, Bombacci, Spinelli, Pound, Solaro e nel dopoguerra Mattei e Olivetti. Riprendiamo in mano la nostra identità contro le ingerenze straniere (e ogni complesso d’inferiorità) in nome di una lotta che sia di «Liberazione», concetto dal significato chiaro e inequivocabile. Francesco Carlesi www.ilprimatonazionale.it/cultura/liberiamoci-dal-25-aprile-43986/
@quagliapoint
@quagliapoint 8 лет назад
Onore a te Nero Italico per la tua onestà intellettuale, per il tuo essere obbiettivo oltre le logiche delle idiologie, per essere portatore e divulgatore delle verità storiche infangate e soppresse per troppo tempo dai falsi vincitori...ONORE A TE.
@NEROITALICO
@NEROITALICO 9 лет назад
Ci fu davvero continuità fra Risorgimento e Resistenza? (Il Primato Nazionale) Roma, 18 giu - Una delle tracce per la prima prova dell’esame di maturità, sostenuta ieri da milioni di studenti italiani, insisteva sulla presunta “continuità” fra ideali risorgimentali ed esperienza partigiana. Si tratta di un vecchio luogo comune storiografico, nato proprio sotto la Resistenza, probabilmente per la necessità di strappare ai fascisti il monopolio della narrazione nazionale e presentare in una veste patriottica una lotta che nasceva con un netto imprinting internazionalista (comunista o, minoritariamente, cattolico). Ovviamente stabilire chi è e chi non è erede di una esperienza storica complessa come il Risorgimento non è cosa semplice. Né, probabilmente, esistono risposte definitive alla questione: in fin dei conti ogni genealogia è attivata, riattivata o interrotta alla luce di progetti politici, contese contingenti, velleità egemoniche. Non tutte le genealogie attecchiscono, tuttavia. Alcune generano crisi di rigetto o non riescono mai a superare forti sospetti di implausibilità. La storia delle radici risorgimentali della Resistenza rientra probabilmente in questa seconda fattispecie. Gli studiosi, negli ultimi anni, ci hanno aiutato a fare chiarezza. Marcello Caroti ha per esempio definito Giuseppe Garibaldi «il primo fascista». Elena Pala ha invece esaminato i riferimenti garibaldini presenti nella Rsi, concludendo che, a parte il nome della celebre brigata partigiana, la Resistenza fu assai meno incline delle ultime camice nere a richiamarsi all’Eroe dei due mondi. Simon Levis Sullam ha affrontato la storia della posterità mazziniana, dichiarando che l’appropriazione “ideologica” dei fascisti era comunque più legittimata della appropriazione “simbolica” degli antifascisti. Uno dei maggiori storici del Risorgimento come Alberto Maria Banti, infine, si è chiesto - partendo esattamente da una prospettiva democratica e antifascista - se non vi sia un nesso effettivo tra camice rosse e camice nere e se l’Italia di domani non debba abbandonare ogni riferimento nazionale e risorgimentalista. Quanto agli antifascisti storici, loro sembravano in realtà avere le idee chiare su temi come il mazzinianesimo: «Se ci richiedono dei simboli: Cattaneo invece di Gioberti, Marx invece di Mazzini» (Piero Gobetti). «Noi non siamo seguaci del Mazzini, noi non accettiamo il suo sistema» (Carlo Rosselli). «[Mazzini] non riuscì a formulare e dedurre teoricamente il concetto di libertà, e anzi teoricamente lo compromise, e quasi lo negò» (Benedetto Croce). «Mazzini, se fosse vivo, plaudirebbe alle dottrine corporative, né ripudierebbe i discorsi di Mussolini» (Palmiro Togliatti). «[Mazzini offre] affermazioni nebulose… vuote chiacchiere» (Antonio Gramsci). La storia, a volte, è più semplice di quanto non si pensi. Adriano Scianca www.ilprimatonazionale.it/cultura/continuita-risorgimento-resistenza-25622/
@lorenzocannarile864
@lorenzocannarile864 8 лет назад
+nero italico SEI UN GRANDE! ONORE A TE!
@NEROITALICO
@NEROITALICO 8 лет назад
+Lorenzo Cannarile ti ringrazio. Guarda anche la prima e la seconda parte dei video sulla "resistenza" e condividili ;)
@marianopalladino252
@marianopalladino252 8 лет назад
quante verità nei tuoi video... complimenti!!! se solo le persone non fossero schiavi dei media...
@filippoconcari4699
@filippoconcari4699 9 лет назад
Leggi qua camerata : www.secoloditalia.it/2015/04/boldrini-choc-non-ci-fu-guerra-civile-leffetto-bella-ciao/
@NEROITALICO
@NEROITALICO 9 лет назад
Filippo Concari infatti non fu proprio una guerra civile ma una guerra tra Italiani e invasori stranieri, alleati a dei banditi assassini.
@NEROITALICO
@NEROITALICO 9 лет назад
La “Liberazione” tra leggenda, rimozioni e… bombe (Il Primato Nazionale) Roma, 28 apr - Sono trascorsi 70 anni esatti da quello che è diventato il vero e proprio evento fondativo della repubblica italiana, vale a dire la cosiddetta “liberazione”. Evento fondativo che, peraltro, si è voluto anche presentare quale mito al tempo stesso fondatore e informatore. In altre parole, la Liberazione è - o perlomeno dovrebbe essere - narrazione collettiva delle origini e, al contempo, esempio di condotta civile per le future generazioni d’Italia. Eppure, in tutto questo fervore per i festeggiamenti del 70° anniversario dell’evento, c’è qualcosa che non torna. Questa “liberazione” non sembra scaldare i cuori della totalità degli italiani. Anzi, si ha proprio la sensazione che questa ricorrenza non faccia che dividere ulteriormente il già poco coeso popolo italiano. Le cause di questo scarto tra retorica istituzionale e sentimento spontaneo di popolo sono già state di recente brillantemente illustrate su queste pagine. Ma a tutto ciò possiamo aggiungere alcune considerazioni. Per esempio che l’evento, per poter essere genuinamente fondativo, deve necessariamente farsi mito. Deve farsi religione. Con “religione” però - si badi - non si intende qui “confessione” (cristiana, islamica, ebraica e così via), ma - etimologicamente - “ciò che lega”, ossia il legame ideale, identitario, carnale della comunità politica. Mito e religione, tuttavia, affondano le loro radici in un terreno che è schiettamente pre-razionale e metapolitico: sono realtà che richiamano la fede, il sacrificio, il rito, la comunione, la memoria delle origini e la volontà d’avvenire. Si tratta, cioè, di tutti quegli elementi che - in nome del “Progresso”, dei “Diritti umani” e della “Ragione” (rigorosamente con la maiuscola) - la repubblica “nata dalla Resistenza” ha rifiutato e condannato in quanto “fascisti”. Da qui deriva probabilmente, in ultima analisi, l’odierno imbarazzo governativo di richiamarsi esplicitamente all’antifascismo e il vero e proprio disagio nell’evocare concetti come “nazione” o “popolo”. Ma tutto questo non basta. C’è qualcos’altro che inchioda e impantana la retorica resistenziale. Si tratta, ovviamente, della percezione vivissima tra molti italiani dell’essenza menzognera da leggenda onirica ed epopea di cartone della Resistenza e della Liberazione. Una “liberazione” che - sarebbe vano negarlo - si fece soprattutto con le bombe degli Alleati. È un tema, questo, che è stato a lungo rimosso e a cui sono state recentemente dedicate opere importanti. Si pensi allo studio monumentale di Richard Overy The Bombing War: Europe 1939-1945 (Allen Lane 2013, pp. 880), che dedica una corposa sezione ai bombardamenti su suolo italiano tra il 1940 e il 1945, o anche a Bombardate l’Italia di Marco Gioannini e Giulio Massobrio (Rizzoli 2007, pp. 574) e L’Italia sotto le bombe di Marco Patricelli (Laterza 2007, pp. 378), per non citarne che alcuni tra i tanti, senza dimenticare il più divulgativo Controstoria della Liberazione di Gigi Di Fiore (Rizzoli 2012, pp. 360) che mette in luce le stragi e i crimini degli Alleati anche nell’Italia meridionale, tradizionalmente ritenuta immune da queste esperienze. Come fa notare Overy, il territorio italiano fu soggetto a bombardamenti solo un mese in meno rispetto alla Germania. Certo, l’impatto distruttivo che ha interessato le due nazioni dell’Asse non è comparabile, ma le tecniche e i presupposti quasi “ideologici” dei bombardamenti erano esattamente gli stessi. Scopo primario e dichiarato degli Alleati - soprattutto del comando britannico - era bombardare i centri abitati al fine di abbattere il morale della popolazione italiana e di sollevarla contro il regime fascista prima e contro i tedeschi poi. Gli obiettivi militari e industriali quindi, come emerge dagli archivi di guerra delle potenze vincitrici, svolgevano un ruolo secondario e subordinato. In tutto questo, peraltro, ci si fece pochi scrupoli anche nel colpire monumenti dall’altissimo valore culturale (si pensi solo all’abazia di Montecassino). Come rivelano gli storici, se i bombardamenti non coinvolsero anche altri siti artistici di rilievo, lo si deve unicamente al fatto che i governi delle potenze alleate temevano di perdere completamente l’appoggio dell’opinione pubblica dei rispettivi paesi. Insomma, già da tutto questo emerge in maniera cristallina che, anche nel caso della popolazione italiana, difficilmente è possibile parlare di “liberazione”. Tra l’altro spesso si ottenne l’effetto contrario: lungi dal spingere gli italiani a un’energica rivolta, li si incoraggiò invece a idealizzare la “buona” Armata rossa (di cui non si aveva diretta conoscenza) e ad accusare gli eserciti alleati che, nel frattempo, si macchiavano di crimini indicibili come il massacro di Gorla. Se a tutto ciò, poi, aggiungiamo le violenze, le angherie e gli stupri (esemplari in proposito furono le “marocchinate”, successivamente oggetto del romanzo di Alberto Moravia La Ciociara e dell’omonima pellicola di Vittorio De Sica), ebbene apparirà senz’altro giustificato il disagio di molti italiani nel “festeggiare” questi avvenimenti, ossia l’umiliazione totale (materiale, fisica, morale) di tutto un popolo. Del resto, lo stesso Ezra Pound l’aveva detto: “Schiavo è colui che aspetta di essere liberato”. Una cosa, però, sia chiara: qui non si citano questi dati per suscitare facile indignazione o per istruire un inutile processo postumo a carico degli Alleati. Le guerre - nel loro lato più ferino e disumanizzante - sono sempre state così, hanno portato terrore, distruzione e violenza, anche sulla popolazione civile. Lo stesso governo italiano, ad esempio, aveva autorizzato il bombardamento delle zone abitate di Londra. Quello che semmai si vuole qui aspramente criticare è l’ipoteca morale, anzi moralistica, di quegli avvenimenti da parte delle potenze vincitrici e, al contempo, l’insopportabile retorica umanitaristica delle bombe “buone” e del lancio di cioccolata. Quello che risulta veramente intollerabile, in altre parole, è l’esaltazione rozza e smodata di una forza priva di luce e del sigillo del sacro. E se in passato un sindaco idiota è riuscito a far sfilare carri armati statunitensi per quella simbolica via di Roma che ora il suo altrettanto idiota successore vorrebbe smantellare, forse è il caso di riascoltare i versi di quella canzone che fu scritta da chi l’umiliazione della “liberazione” non l’ha mai accettata: “Non posso inginocchiarmi davanti a un invasore / Non posso risparmiare un soldato che crea terrore. / […] Ti giuro, fratello, su questo fuoco ardente / Non stringerò la mano che ha affamato la mia gente”. Valerio Benedetti www.ilprimatonazionale.it/cultura/liberazione-in-italia-tra-leggenda-rimozioni-e-bombe-22153/
@NEROITALICO
@NEROITALICO 9 лет назад
I partigiani si muovevano in un clima di generale illegalismo (a cominciare dalla scelta di imbracciare le armi e non rispondere alla chiamata di leva), nel quale il sequestro forzato di beni e viveri ai contadini, qualche violenza di troppo, un errore nell’individuazione di una “spia” da giustiziare sembravano assolutamente normali…..e poi, la prospettiva era quella della vittoria, che avrebbe “sanato” tutto I “ragazzi di Salò”, tutti, agivano, invece, in un contesto regolamentato da leggi e norme precise, il cui rispetto era affidato a Forze dell’Ordine e Magistrati che erano in buona parte quelli dell’Italia prerepubblicana e sarebbero stati poi -ove non particolarmente “compromessi”- quelli dell’Italia democratica. Insomma, per dirla tutta, se uno o più militi repubblicani compivano un sopruso o si macchiavano di una nefandezza, erano quasi certi di finire sotto processo su denuncia delle vittime o dei loro stessi camerati. Qualcuno veniva anche arrestato, come Mario Volontè (padre di Gianmaria, noto attore “impegnatissimo a sinistra”) fondatore del PFR torinese, incarcerato dai suoi stessi camerati per certe intemperanze al Comando del presidio di Chivasso della Brigata Nera e c’era pure chi finiva a Dachau, come Tullio Tamburini, il “grande bastonatore” della vigilia E poi, la prospettiva era quella della sconfitta “certa” (alle “armi segrete” non ci credeva nessuno) che avrebbe significato “resa dei conti”…e allora, senza nessuna furbizia e senza per questo mancare al proprio dovere, era inutile e controindicato infierire più di tanto Discorso appena diverso è da fare per gli “uffici di polizia” speciali e autonomi….qui il ricorso alla violenza -durante gli interrogatori dei sospetti- non era infrequente, ma era retaggio “storico” delle polizie di tutto il mondo, che sarebbe arrivato -almeno- fino alle torture inflitte, nella democratica Italia del centro sinistra dal “dottor De Tormentis” ai prigionieri brigatisti o neofascisti E sarà anche il caso di ricordare che se Koch e Carità (con i loro uomini) furono ostacolati dalle Autorità della RSI, fino all’arresto -nonostante una certa benevolenza tedesca giustificata dal loro “efficientismo”-, il predetto De Tormentis sarà promosso ed encomiato dal regime democratico Prova evidente di quanto detto è che, dai pur maldisposti Tribunali del ‘45-‘48, i condannati in primo grado per le famose “sevizie particolarmente efferate” previste dal decreto Togliatti non abbiano superato qualche centinaio, dei quali, peraltro, molti poi assolti in Appello Il “reato” più frequentemente ascritto agli uomini della RSI fu, piuttosto, la fucilazione di uomini, per rappresaglia o perché colti con le armi in pugno al termine di un’operazione militare ….“reato” che non era tale, perché previsto e regolamentato dalla normativa di guerra vigente.
@NEROITALICO
@NEROITALICO 9 лет назад
Il 25 aprile senza la tara del pregiudizio ideologico (Il Primato Nazionale) Non ci vorrebbe molto: basterebbe solo essere davvero democratici. Basterebbe solo avere la volontà di raccontare ai bambini delle elementari e ai ragazzi delle scuole superiori quello che è successo e perché. Basterebbe dire: questa Italia è nata dalla lotta al Fascismo e dalla Resistenza. La Costituzione si fonda su questi valori. Ma. Ma tra il ’43 e il ’45 c’è stata una guerra civile. L’Italia era divisa: da una parte i fascisti della Repubblica Sociale Italiana fedeli all’alleanza con i Tedeschi, dall’altra gli antifascisti impegnati nella lotta partigiana e che sostenevano ed erano sostenuti dagli Alleati anglo-americani. Non ci vorrebbe molto. Basterebbe un po’ di onestà. Ad esempio, per spiegare che i repubblichini non erano brutti, sporchi e cattivi, ma avevano la loro “idea” dell’Italia e per quella si battevano. Sbagliavano? Il prof. antifascista, ma davvero liberale, davvero democratico, forse potrebbe rispondere: sbagliavano, ma gran parte di loro erano in buona fede. Il prof. antifascista, ma davvero liberale, davvero democratico, forse potrebbe aggiungere: vi spiego in che cosa credevano. E già che ci sono cerco di raccontarvi che cosa è stato il Fascismo. Sì, è stato una dittatura. Ma vi racconto come è nato, perché è nato, su che cosa si fondava, quali idee agitava, che cosa ha creato, che cosa ha distrutto. Vi racconto degli antifascisti durante il Fascismo: esilio, persecuzioni, galera. Vi racconto, perché no?, dei fascisti durante l’antifascismo: e anche in questo caso non sono mancati esilio, persecuzione e galera. Vi racconto degli antifascisti a cui il fascismo chiuse la bocca perché volevano parlare di tutto in libertà all’insegna del dibattito, del confronto, della critica, della polemica e vi racconto dei fascisti a cui l’antifascismo chiuse la bocca perché anche loro volevano parlare di tutto ecc. ecc. Se si è liberali, democratici, antifascisti, ipercritici e iperobbiettivi, bisognerà pur raccontarla la verità. O no? Non ci vorrebbe molto. Basterebbe essere persone perbene. Basterebbe essere italiani. Basterebbe rinunciare all’odio e denunciare l’odio. E allora si potrebbe davvero arrivare al massimo: leggere ai bambini delle elementari e ai ragazzi delle scuole superiori una bella lettera di un condannato a morte della Resistenza e una bella lettera di un condannato a morte della Repubblica Sociale, uniti dallo stesso amore per l’Italia. Non ci vorrebbe molto. Dunque è impossibile. Mario Bernardi Guardi (Articolo pubblicato su Libero, 24/04/2015) www.ilprimatonazionale.it/cultura/il-25-aprile-senza-la-tara-del-pregiudizio-ideologico-21965/
@thebenz9871
@thebenz9871 9 лет назад
Ciao nero italico ti prego di rispondere a questo mio commento,conosci dei libri che possa comprare sul fascismo,la guerra con la Germania eccetera? Grazie in anticipo :)
@NEROITALICO
@NEROITALICO 9 лет назад
***** la lista dei libri sul Fascismo è illimitata, basta cercare quelli scritti da autori onesti e cercarli nel posto giusto. Ti indico un pò di case editrici e librerie che trattano in maniera approfondita ed onesta l'argomento. www.ritteredizioni.com/ www.orionlibri.net/ www.libreriaar.com/catalogo-della-libreria-ar?page=shop.browse&category_id=1
@thebenz9871
@thebenz9871 9 лет назад
NERO ITALICO Ok grazie mille!
@NEROITALICO
@NEROITALICO 9 лет назад
Secondo alcuni dementi - son cose che ho letto anche poco fa in alcune bacheche - bisognerebbe affondare i barconi quando sono in traversata con tutto il loro carico umano. Non spreco neppure una vocale per commentare una simile infamia. Invece porto la mia attenzione su chi, diversamente da me, non ha diritto a manifestare altrettanto orrore per simili affermazioni. Sono quelli che da sempre e con maggior vigore il 25 aprile plaudono i *Liberatori* che la guerra l'hanno fatta a pane e bombardamenti sulla popolazione civile, non disdegnando un paio di bombe atomiche sulle città di gente già in ginocchio. E li chiamano *Liberatori*.... sì, quelli che da 200 anni girano per il mondo a liberare forzatamente i popoli. E dopo aver ridotto ad una cloaca l'Europa ora lavorano alacremente in Medio Oriente, per *liberare* popoli potendo contare su collaboratori plaudenti qui da noi. Collaboratori molto umanitari e che s'indignano ad intermittenza... che già si son dimenticati dei massacri in Palestina, nel Dombass e prima ancora in Iraq. Che differenza c'è tra chi sostiene la necessità di affondare barconi stracarichi di esserei umani e chi applaude a quanti hanno fatto e fanno uso massiccio del bombardamento sui civili? E mentre scrivo queste righe i *Liberatori* hanno inviato la loro flotta da guerra nel Golfo Persico per supportare i sauditi contro gli yemeniti... altro disastro umanitario in via di facimento che verrà chiamato liberazione con il plauso dei cretini di casa nostra. citazione
@NEROITALICO
@NEROITALICO 9 лет назад
Maxi striscione fuori dal liceo Giulio Cesare: "La Resistenza è una cagata pazzesca" "La Resistenza è una cagata pazzesca". E' il maxi striscione comparso fuori dal liceo Giulio Cesare di Corso Trieste, il giorno il tema di maturità. Il riferimento va ovviamente alla traccia della prima prova incentrata proprio sulla Resistenza, nel 70esimo anniversaria della Liberazione.
@jean-renepola4726
@jean-renepola4726 7 лет назад
NERO ITALICO Hai proprio ragione sul fatto che la scuols cerchi di indirazzarci contro il fascismo e a favore di questo falso eroismo.
@NEROITALICO
@NEROITALICO 9 лет назад
Così Giano Accame spiegava il legame perverso tra sinistra e disertori (Il Primato Nazionale) Roma, 27 mag - Dopo la proposta di riabilitare i disertori, avanzata qualche tempo fa dal Pd, e dopo le celebrazioni in sordina per il centenario dell’entrata dell’Italia nella Grande Guerra, che hanno sfiorato la dichiarazione del lutto nazionale, una questione si pone: come è accaduto che la sinistra italiana finisse per diventare lo schieramento dell’antinazione? Su questo argomento riproponiamo qui uno stralcio di Socialismo tricolore, il saggio con cui nel 1983 Giano Accame voleva ricordare al socialismo craxiano che la scelta anti-nazionale non era stata né unica né obbligata per la sinistra italiana (IPN). * * * Alla sensibilità odierna la cultura che preparò ed impose l’intervento nella prima guerra mondiale appare quasi incomprensibile. Non ne accetta più non solo il prezzo di sacrifici umani, ma nemmeno gli obbiettivi. Va di moda, e con espressioni spesso letterariamente molto raffinate, persino la rivalutazione dell’impero austro-ungarico. In realtà diversi popoli che se ne liberarono oggi appaiono molto meno liberi di prima. Ma soprattutto stenta a capire come gran parte della nostra cultura abbia deliberatamente preferito conquistare con la guerra ciò che, a dar retta a Giolitti, forse si sarebbe potuto egualmente ottenere attraverso negoziati. Noi viviamo nel mito delle mediazioni, che si propongono di aggirare senza costi di sangue le contraddizioni e i drammi della storia. La propaganda fascista ha svolto con successo nella memoria collettiva il compito di una rimozione, assorbendo su di sé il vanto di aver voluto la guerra vittoriosa. […] Il prolungamento naturale dell’interventismo nel fascismo e nella disfatta della seconda guerra mondiale ha contribuito a rafforzare tra i socialisti la rivendicazione ancor più convinta del proprio neutralismo. Mentre la comune opposizione al fascismo ha consentito di superare senza un adeguato approfondimento critico le incrinature aperte con quei larghi settori progressisti (repubblicani, radicali, massoni, anarcosindacalisti, nazional-liberali, socialisti eterodossi) che erano stati la vera mente dell’interventismo: il primo appello per l’intervento era venuto dal repubblicano Arcangelo Ghisleri. Sulla spinta giustificatrice dell’antifascismo in una parte della base socialista si è quindi insinuato un pericoloso processo psicologico, consistente nel farsi spesso addirittura un vanto di accuse, come quelle di diserzione, disfattismo, sabotaggio, solo perché mosse da avversari che la sconfitta del 1945 rendeva ormai superfluo confutare. […] L’irrigidimento nelle posizioni neutraliste, poi la loro degenerazione negli eccessi post-bellici del “biennio rosso” aspramente deplorati da Turati, venne inoltre esasperato in Italia da una polemica che, prima della nostra entrata in guerra e a differenza degli altri paesi intervenuti subito, ebbe quasi un anno di tempo per crescere in asprezza e avvelenarsi. Tra l’agosto del 1914 e il maggio del 1915 all’interno della sinistra italiana i rapporti si caricarono già di quei risentimenti irrazionali che più caratterizzano le liti di famiglia. Non si discuteva di tesi politiche, ma di tradimenti. La cultura italiana, nei suoi ambienti più vivi e d’avanguardia, era in grande maggioranza interventista. Il socialismo, isolato dall’intelligenza, cadde nella psicosi dell’incomprensione. Segnaliamo qui solo per rapida memoria l’interventismo di Gaetano Salvemini, che all’inizio del secolo su Critica Sociale aveva invece scritto contro l’irredentismo, denunciandolo come un diversivo reazionario di cui avrebbero profittato le tendenze più antidemocratiche e il militarismo. Nel 1915 arrivò a criticare le guerre del Risorgimento perché erano costate in tutto solo poco più di seimila morti e proclamò entusiasta che “la sua prima vera, grande prova la nazionalità italianala sta dando nella guerra attuale. Qui incomincia la nuova storia”. Il giovane Jahier mobilitava di rincalzo alcuni scritti bellicisti di Proudhon per giustificare, con un testo socialista alla mano da rivolgere contro i socialisti pacifisti, la partecipazione all’ecatombe. L’esaltazione della guerra come esperienza spirituale e ascetica era già stata celebrata un paio di anni prima su La Voce dal più brillante e moderno dei parlamentari liberali, Giovanni Amendola: “…grazie a Dio, gli uomini continueranno a scannarsi piuttosto che ad incanaglirsi”. La letteratura italiana, coerente con se stessa, non ha poi dato una sola opera di protesta contro la guerra, che fosse paragonabile al Fuoco di Barbusse o ad All’Ovest niente di nuovo, di Remarque. Tutt’al più c’è nel suo underground qualche poesiola della scapigliatura ottocentesca e qualche anonima canzone da osteria. Sicché in Italia si ebbe il paradosso del solo partito socialista europeo che non avesse solidarizzato con la patria in guerra, ma anche di quello che in questa posizione si trovò ad avere il minor supporto tra scrittori e artisti. Indugiando nel ricordo del proprio neutralismo il socialismo italiano si è quindi aggrappato per anni ad un episodio culturalmente poco consistente e ad una posizione che, sotto il profilo dell’impegno politico, dopo essergli costata una grave spaccatura interna con l’espulsione dell’allora direttore dell’Avanti!, fu caratterizzata più da indecisione, inerzia, ambiguità di compromesso che non dalla larghezza o dal rigore della sue visioni. […] Francesco Misiano [C’è poi da ricordare] il caso del disertore Francesco Misiano, che destò scandalo nel periodo postbellico allorché fu eletto deputato socialista (poi passato ai comunisti con la scissione del 1921 al congresso di Livorno). L’elezione di Misiano fu accolta negli ambienti combattentistici come una provocazione grave. Da Fiume d’Annunzio invitò i suoi legionari a dargli la caccia: “Infliggetegli il castigo immediato, a ferro freddo”. Pochi badarono al fatto che la sua candidatura si basava su titoli diversi da quello di disertore, avendo già alle spalle un cursus honorum di dirigente sindacale e di partito di una certa rilevanza. Indicativa della gravità del baratro che si stava spalancando è la coincidenza degli opposti per cui presso l’elettorato socialista la qualifica di disertore assunse, con segno positivo, lo stesso significato emblematico e di sfida che vi attribuirono i combattenti. E quindi i fascisti, che cacciandolo dalla Camera interpretarono, dopo averla ancor più sovraeccitata, la loro indignazione. Così le posizioni andavano sempre più divaricandosi, con una reciproca spinta all’estremismo. Nella mitologia delle sezioni socialiste, Misiano era il prode compagno che aveva sfidato condanne per non servire “la patria di Lorsignori”; che per non dover sparare contro altri proletari era stato costretto a scappare in Svizzera; che poi dopo la guerra era andato tra i primi a portare la solidarietà ai Soviet in Russia; che aveva partecipato ai moti rivoluzionari in Germania nel 1918-19 finendovi per dieci mesi in prigione. Quindi a suo modo un combattente non privo di coraggio e di coerenza internazionalista. Il premio alla coerenza dei disertori, in un paese dove cinque milioni di uomini in armi avevano contribuito a vincere la guerra, significava però confinare il partito in un ghetto psicologico, tenendolo ancor più lontano di quanto non lo fosse già nell’anteguerra da una più matura cultura di governo. Significava anche accentuare i motivi di divisione tra le masse, scivolare sempre più nel gioco al massacro di una contrapposizione non solo tra rossi e neri, ma tra rossi e tricolori, regalando più di un argomento alla virulenta espansione fascista. Giano Accame www.ilprimatonazionale.it/cultura/giano-accame-legame-sinistra-disertori-24209/
@NEROITALICO
@NEROITALICO 9 лет назад
Cambiano l’inno e tirano uova alla bandiera: FERMIAMOLI! (Il Primato Nazionale) Roma, 3 mag - Ci sono a volte piccoli segnali che rivelano grandi tendenze. Nella cronaca dei giorni scorsi, questi segnali si sono come addensati in un grumo di notiziole che sta lì a metterci di fronte al fatto compiuto: il fronte dell’anti-nazione è più forte che mai. Sono eloquenti, in tal senso, tre fatti simbolici avvenuti cavallo dello scorso primo maggio. Prima notizia: alla vigilia dell’apertura dell’Expo, i centri sociali offrono ai milanesi l’antipasto della giornata di fuoco che hanno in serbo per loro. Vedendo queste scene un notaio, ex alpino, decide di esporre dal balcone un tricolore italiano. La bandiera scatena un riflesso pavloviano nella folla sottostante, che comincia a insultare l’uomo, a tirare uova contro di lui e soprattutto contro il tricolore. Seconda notizia: è il primo maggio, questo benedetto Expo finalmente apre i battenti. Nella cerimonia d’apertura, il coro dei “Piccoli cantori di Milano” si prende la libertà di cambiare addirittura le parole dell’inno di Mameli, che anziché recitare “siam pronti alla morte” ora riporta un più buonista “siam pronti alla vita”. Il premier Renzi è entusiasta dell’idea, tanto da citare la nuova strofa nell’incipit del suo discorso. Tanto valeva aprire uno striscione sul palco con la scritta “Mameli sei un coglione”, dato che l’autore dell’inno dimostrò proprio di essere pronto alla morte, a 22 anni, nel corso della difesa di Roma. Terza notizia: corteo del primo maggio, Trieste. In piazza, accanto alle bandiere dei sindacati, vengono esposti drappi dell’ex Jugoslavia, con tanto di stella rossa, e si inneggia all’infoibatore Tito. Che due di questi fatti riguardino la sinistra radicale e uno quella moderata, liberale e berlusconizzata è significativo: l’odio per la nazione unisce là dove l’ideologia e la tattica politica dividono. Il tutto mentre i cento anni dell’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale vengono celebrati alla chetichella, senza fondi e senza voglia, con l’anniversario di quella che fu vissuta come la “quarta guerra d’indipendenza” sopraffatto dal settantennale della solita “Liberazione”. Nelle librerie, intanto, pullulano i libri disfattisti sulla Grande guerra, di cui ormai è impossibile parlare, quando lo si fa, se non nei termini della “inutile strage”. Una retorica umanitaria che oltre a essere ignobile eticamente, perché dice a centinaia di migliaia di caduti che la loro morte è stata inutile e dovuta a un capriccio di governi guerrafondai, è anche assurda alla luce della situazione odierna: in un mondo sempre più feroce, radicale, caotico, noi abbiamo perso gli strumenti culturali per capire cos’è una guerra, mettendoci di fatto nelle mani del primo che bussi alla nostra porta armato con qualcosa di più che semplici ideali di pace. Nel grande golpe globale delle oligarchie che ha sconvolto il mondo e ha infiammato il Mediterraneo, questa disposizione mentale anti-nazionale è semplicemente suicida e deve attivare per reazione gli anticorpi di tutti coloro che abbiano una coscienza nazionale non del tutto estenuata. Perché stavolta nessuno verrà a salvarci. Stavolta è tutto nelle nostre mani. Adriano Scianca www.ilprimatonazionale.it/prima/cambiano-linno-e-tirano-uova-alla-bandiera-fermiamoli-22547/
@NEROITALICO
@NEROITALICO 9 лет назад
“Uno schianto, non una lagna”. Piazzale Loreto, 70 anni dopo (Il Primato Nazionale) Roma, 29 apr - “La storia italiana non ha episodi così atroci come quello del piazzale Loreto. Nemmeno le tribù antropofaghe infieriscono sui morti. Bisogna dire che quei linciatori non rappresentano l’avvenire, ma i ritorni all’uomo ancestrale (che, forse, era moralmente più sano dell’uomo civilizzato). Né giova ributtare sulla guerra l’origine unica di questa ferocia. I linciatori di piazzale Loreto non videro mai una trincea: si tratta di imboscati o di minorenni che non hanno fatto la guerra. I reduci di guerra sono, in genere, alieni dalle violenze”. Sembra di essere di fronte a una descrizione perfetta di quanto, esattamente 70 anni fa, avvenne nella nota piazza milanese sui cadaveri di Benito Mussolini e degli altri gerarchi del fascismo. E invece si resterà sorpresi a leggere la data in cui queste parole furono vergate: 26 giugno 1920. Si resterà addirittura esterrefatti a leggere il nome dell’autore: Benito Mussolini stesso. L’articolo si riferisce alla barbara uccisione, in piazzale Loreto appunto, del vicebrigadiere dei Carabinieri Giuseppe Ugolini, tirato giù dal tram sul quale si trovava, fuori servizio, dai partecipanti a una manifestazione socialista, e finito a coltellate. Insomma, se “Piazzale Loreto è per gli italiani e gli stranieri la piazza più tragica d’Italia”, come ha spiegato l’ultimo federale di Milano, Vincenzo Costa, va detto che la tragedia non inizia il 29 aprile 1945, ma molto prima. Cosa che del resto gli stessi antifascisti non cessano di ricordare, per “contestualizzare” lo scempio fatto sui cadaveri dei gerarchi fascisti, ma in riferimento non certo a questo primo delitto - di marca appunto “progressista” - bensì ai noti fatti dell’agosto 1944. La spirale di violenza inizia l’8 agosto 1944, quando un camion tedesco parcheggiato in viale Abruzzi, a Milano, esplode in un misterioso attentato. Sull’episodio, a distanza di 70 anni, restano una serie di interrogativi. A cominciare dal numero e dall’identità delle vittime. La storiografia ufficiale parla di 6 morti, fra cui nessun soldato tedesco (viene spesso citato, a tal proposito, un rapporto della Guardia nazionale repubblicana). Il già citato Costa, nelle sue memorie, parla di sette vittime: cinque soldati tedeschi e due popolane milanesi. Secondo altre ricerche, le vittime furono addirittura 18: cinque soldati tedeschi (che non sarebbero stati annotati nei registri civili italiani) e 13 civili italiani, di cui si forniscono addirittura i nomi: Giuseppe Giudici 59 anni; Enrico Masnata e Gianfranco Moro entrambi di 21 anni, Giuseppe Manicotti 27 anni, Amelia Berlese 49 anni, Ettore Brambilla 46 anni, Antonio Beltramini 55 anni; Fino Re 32 anni, Edoardo Zanini, 30 anni; i ragazzini Primo Brioschi di anni 12; Gianfranco Barbigli di anni 13 e Giovanni Maggioli di 16. Aveva appena 5 anni il piccolo Gianstefano Zatti. Fra i soldati tedeschi è stato spesso ricordato un certo Karl, che per l’indole bonaria e la grande mole pare fosse soprannominato dai milanesi “El Carlùn”. I morti dell’agosto del ’44 Sempre secondo Costa - ma la notizia sarà ripresa poi da Pisanò e da tutta la storiografia revisionista - il camion tedesco si trovava in viale Abruzzi per distribuire viveri alla popolazione. Un modo, da parte dei tedeschi, per far superare ai milanesi la diffidenza verso le armate germaniche. L’attentato, se così fosse, avrebbe potuto avere lo stesso scopo di quello di via Rasella, a Roma: suscitare una reazione efferata in modo da gettare un fossato incolmabile fra le forze dell’Asse e la popolazione. Di fatto la bomba non fu rivendicata da nessun gruppo della Resistenza, forse per non assumersi la responsabilità di un atto con così pesanti conseguenze o forse perché fatto da “cani sciolti”. La richiesta di una rappresaglia, da parte dei tedeschi, fu immediata. L’intervento personale di Mussolini fece sì che le vittime fossero “solo” 15. La mattina del 10 agosto 1944, esattamente 15 partigiani furono prelevati dal carcere di San Vittore e portati in piazzale Loreto, dove furono fucilati da un plotone di esecuzione. I loro corpi furono accatastati nel piazzale, con un cartello che li qualificava come “assassini”. I cadaveri furono lasciati esposti fino alle ore 20. Sarà ancora Costa a commentare: “La popolazione passava e guardava inorridita. Il nemico aveva raggiunto il suo scopo”. Dell’attentato e della successiva rappresaglia, l’ultimo federale di Milano dirà anche che fu “un episodio in cui solo Satana risultò vincitore”. Meno di un anno dopo, stesso luogo. Alle 3:40 di domenica 29 aprile una colonna di camion giunge in Piazzale Loreto. Vengono scaricati diciotto cadaveri, fucilati tra Giulino di Mezzegra e Dongo il giorno prima. In quel mucchio di corpi ci sono sei ministri e un sottosegretario del governo della Rsi: Benito Mussolini, Paolo Zerbino, Ruggiero Romano, Augusto Liverani, Fernando Mezzasoma, Alessandro Pavolini e Francesco Maria Barracu. Assieme a loro sono stati uccisi anche Claretta Petacci (il fratello Marcello, che che aveva tentato di scappare gettandosi nel lago, sarà qui raggiunto da una scarica di mitra), il rettore dell’Università di Bologna Goffredo Coppola, l’ex tribuno socialista Nicola Bombacci, il direttore dell’agenzia Stefani, Ernesto Daquanno, il comandante della Brigata nera dI Lucca, Idreno Utimperghe, il colonnello Vito Casalinuovo, e ancora Paolo Porta, Luigi Gatti, Pietro Calistri, Mario Nudi. A Milano, a questi corpi si aggiungono le salme di altri cinque fascisti: uno è Achille Starace, fuori dai giochi da anni e catturato in strada mentre faceva jogging. Pestato a sangue, viene fucilato direttamente a piazzale Loreto, non prima di aver salutato romanamente il corpo del suo capo. Gli altri non si sa chi siano, forse anonimi fascisti o magari ignari passanti uccisi per uno scambio di persona, cosa frequente in quelle giornate. Quando i milanesi si svegliano, la notizia passa di bocca in bocca per tutta la città e ben presto la piazza si riempe. Lo stupore dura poco, presto cede il posto alla ferocia. I cadaveri vengono presi a calci, a sputi. C’è chi vi urina sopra, chi spara ulteriormente sui corpi inermi. Alla Petacci viene alzata la gonna, le si tolgono le mutande. Già alle 11 la situazione non è più governabile e l’idea di appendere i cadaveri più rappresentativi nasce anche per questo. Nel primo pomeriggio, una squadra di partigiani entra in piazza e rimuove i cadaveri, trasportandoli nel vicino obitorio di piazzale Gorini. Ferruccio Parri, allora presidente del Consiglio del Comitato di Liberazione Nazionale, commentò quest’episodio definendolo “una macelleria messicana”, espressione che avrà una certa fortuna diversi decenni dopo. L’episodio ha una grande eco in tutto il mondo e colpisce anche il poeta Ezra Pound, che i conti con la giustizia dei vincitori dovrà farli solo qualche giorno dopo. Il 3 maggio 1945 sarà arrestato da partigiani italiani e consegnato ai militari statunitensi. Dopo qualche settimana nella “gabbia del gorilla”, a Metato, ha un collasso e viene portato in infermeria, dove scrive il canto 74, in cui rilegge in chiave mitologica lo scempio di piazzale Loreto. Mussolini diventa una vittima sacrificale: Digonos, il nato due volte, secondo un appellativo che fu di Dioniso, che fu fatto a pezzi e divorato, ma risorse. L’enorme tragedia del sogno sulle spalle curve del | contadino | Manes! Manes fu conciato e impagliato, | Così Ben e la Clara a Milano | per i calcagni a Milano | Che i vermi mangiassero il torello morto | digonos, ma il due volte crocifisso | dove lo trovate nella storia? | eppure dite questo al Possum: uno schianto, non una lagna, | con uno schianto, non con una lagna, | Per costruire la città di Dioce che ha terrazze color delle stelle, | Gli occhi miti, sereni, non sdegnosi, | fa parte del processo anche la pioggia. Sulla città di Dioce, intanto, le terrazze riflettevano solo nubi cariche di miseria… Adriano Scianca www.ilprimatonazionale.it/cultura/piazzale-loreto-70-anni-dopo-22205/
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L'edificante epopea dei partigiani costruita a tavolino - parte 1 La storia bugiarda, ossia la ricostruzione artificiosa e mitopoietica del passato, è una sorta di specialità nazionale, almeno dal Risorgimento in poi. Ma esiste una forma di menzogna più sottile, sistemica e dannosa, che procede attraverso la fabbricazione di documenti falsi attraverso i quali elaborare una vulgata edificante per chi compie l'operazione. Un caso da manuale è quello che abbiamo scoperto, compulsando le carte dell'Istituto di storia contemporanea Perretta di Como. Ossia, uno dei capisaldi della sacralizzazione delle vicende resistenziali, per il fatto che questo centro di memoria opera, da quasi quarant'anni, nell'area dove si compirono, in un sol colpo, tre eventi di gigantesca portata, nelle ultime giornate di aprile del 1945: la fine del fascismo, la conclusione della guerra e l'epilogo di Benito Mussolini e dei suoi fedelissimi.Consultando il Fondo Gementi del Perretta ci siamo imbattuti in una lettera esplosiva che mette a nudo i criteri attraverso i quali si è costruita la monumentalizzazione dell'episodio resistenziale. Un documento che dev'essere sfuggito ai censori rossi i quali controllano che nulla, di esiziale, possa sfuggire e capitare dentro i fascicoli che vengono distribuiti in consultazione agli studiosi. Bisogna spiegare anzitutto chi è stato il personaggio oggetto delle mie indagini. Oreste Gementi, milanese, classe 1912, fu il leader partigiano di più elevate responsabilità militari, negli organi di coordinamento interpartitico operanti durante la lotta di Liberazione, nel Comasco. Svolse infatti le funzioni di comandante della Piazza lariana del Cvl (Corpo volontari della libertà). Nonostante il suo rango elevato, su Gementi (nome di battaglia, Riccardo), è caduto un totale oblio, spiegabile con una circostanza molto semplice. Il comandante partigiano ebbe il torto, se così si può dire, di non allinearsi alle direttive del Partito comunista, il quale durante e dopo la Liberazione dettò legge, non soltanto nel Comasco. Tanto per cominciare, Gementi si convinse, sulla base di elementi raccolti già nell'immediatezza dei fatti, che a sparare a Mussolini e alla Petacci non fosse stato l'emissario di Luigi Longo, Walter Audisio, alias colonnello Valerio, ma l'umile operaio comasco Michele Moretti, il partigiano comunista Pietro. E ciò bastava perché il nome di Gementi venisse incluso nella lista di proscrizione stilata dagli apparatik della centrale di disinformacjia rossa concentrata nella triangolazione Pci-Anpi-Istituti storici della Resistenza. Non solo: il comandante Riccardo aveva tale determinazione morale da far spiccare, già nel giugno del 1945, un mandato di cattura contro Michele Moretti per il furto dell'oro di Dongo. Risultato: un mese dopo, il Pci architettò contro Gementi un agguato, che fu sventato solo grazie all'abilità straordinaria della vittima predestinata.Ma veniamo al cuore di questa nostra scoperta. Nel novembre del 1991, l'Istituto storico di Como diede alle stampe un volume di oltre 600 pagine, La 52ª Brigata Garibaldi Luigi Clerici attraverso i documenti: si trattava di un racconto della lotta di Liberazione, nel Comasco, attraverso una raccolta delle fonti scritte riferite all'attività della formazione partigiana cui si dovette l'arresto di Mussolini e il fermo della sua colonna, il 27 aprile 1945. Ben 550 documenti (relazioni, direttive, circolari, ecc.), presentati come originali, i quali portavano alla luce la trama organizzativa e l'intera vicenda cospirativa della brigata. Curatore dell'opera antologica era Giusto Perretta, comunista, fondatore e a lungo direttore dell'Istituto comasco di storia del movimento di Liberazione che oggi porta il nome di suo padre, l'avvocato Pier Amato Perretta, un antifascista ferito a morte a Milano da elementi delle Ss e della Legione Muti, nel novembre del 1944.Giusto Perretta, nella nota introduttiva, spiegava che la pubblicazione era frutto di ricerche «effettuate nel 1986-87 presso l'Istituto Gramsci di Roma». Tale scavo archivistico era valso ad arricchire e a integrare la già imponente documentazione in possesso dell'Istituto storico lariano. Ne sortiva una rassegna di materiali che il curatore accreditava come coevi, cioè «compilati e diffusi nel corso vivo della lotta»: in tal modo si sarebbero potute fornire «maggiori garanzie di veridicità» rispetto alle fonti cronologicamente successive. Fin qui le parole di Perretta. Ciò che non è mai trapelato, al riguardo, è la durissima contestazione pervenuta al curatore dell'opera, da parte di Gementi. Il comandante Riccardo, giunto ormai al termine dei suoi giorni terreni, il 10 aprile 1992 confessava, in una riservata-confidenziale, di aver accostato «con molto scetticismo» l'indigeribile repertorio stilato da Perretta, dichiarandosi incapace di «trarne alcun insegnamento», nell'impossibilità pratica di discernere «tra il vero ed il falso».Dove nasceva questo sentimento di somma diffidenza, nell'uomo che ben conosceva la segreta trama di quei lontani fatti della Resistenza, per averli vissuti dall'interno come pochissimi altri? Lo rivelava lo stesso Gementi, tornando con la memoria a una «confidenza fattami da Coppeno nei primi anni dopo la Liberazione, quando i nostri rapporti erano normali e saltuariamente ci incontravamo, ma soprattutto egli mi telefonava per accertarsi su dati e fatti del periodo clandestino». Il riferimento è a Giuseppe Coppeno, lo storiografo ufficiale cui il Partito comunista, già nell'immediato dopoguerra, affidò il compito di costruire, a tavolino, la storia bugiarda. In quale modo? Allestendo una vera e propria officina di fabbricazione di repertori documentari non genuini, allo scopo di produrre la glorificazione del movimento partigiano rosso. Coppeno, nato nel 1920 e scomparso nel 1993, fu un comunista duro e dogmatico che operò, durante la Resistenza, tra Como e Milano, quale cinghia di trasmissione delle direttive del partito dentro le formazioni garibaldine. In realtà, si chiamava Ciappina, in quanto fratello di Ugo Ciappina, un ex gappista che fu tra gli autori della rapina di via Osoppo, avvenuta a Milano, nel 1958. In conseguenza di tale fatto, egli chiese e ottenne di poter cambiare il cognome in Coppeno. Incontrai Ciappina-Coppeno, a Milano, nel maggio del 1992. Andai a casa sua, per intervistarlo. Il personaggio mi raggelò, ma non potevo nemmeno sospettare che si portasse appresso i segreti che Gementi non esitò a denunciare. Che cosa si era lasciato infatti sfuggire, il fratello del bandito Ugo Ciappina, nei suoi colloqui con il compagno di battaglie? Lo racconta lo stesso comandante Riccardo, con questa confessione-bomba: «Coppeno mi aveva confidato che, su richiesta di Gorreri e Fabio, stava costruendo documenti intesi a valorizzare e potenziare l'attività della 52ª, dal settembre '43 alla Liberazione». Dante Gorreri e Pietro Vergani Fabio furono dunque coloro che commissionarono il lavoro al falsario ideologico seriale. Vale la pena di ricordare chi fossero i due personaggi. Gorreri, segretario della Federazione lariana del Pci, e Vergani, comandante lombardo delle Brigate Garibaldi, furono due stalinisti ciecamente devoti al partito. Entrambi, negli anni Cinquanta, vennero rinviati a giudizio per alcuni delitti che insanguinarono il dopo-Liberazione, come quello del capitano Neri (Luigi Canali), leader morale della Resistenza comasca, della staffetta di questi, Gianna (Giuseppina Tuissi), e della giovane Annamaria Bianchi. continua www.ilgiornale.it/news/spettacoli/costruire-tavolino-ledificante-epopea-dei-partigiani-comunis-1228073.html
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Anpi: conto di 47mila Euro per merce “prelevata” dai partigiani nel 1945 (Il Primato Nazionale) Udine, 13 giu - Giacomino Fabris, classe 1951, di Turrida di Sedegliano, sulle rive del Tagliamento in provincia di Udine, ha scoperto tra i documenti dei genitori - la madre è deceduta da poco tempo - una strana ricevuta, datata 5 febbraio 1946, firmata e timbrata dal comando dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia (Anpi), comitato provincia di Udine - e riferita al “prelevamento” dal 9 al 30 aprile 1945 di generi alimentari tra cui vino e cognac per un importo complessivo di 7.995 Lire presso la ditta del padre Antonio Fabris: una cifra molto grande per quei tempi. Così inizia la storia quasi inverosimile raccontata dal Gazzettino di Udine. Accertatosi che nessun pagamento fu mai eseguito a fronte del “prelevamento” partigiano, il Fabris si è rivolto prontamente ai legittimi eredi cioè all’Anpi di Udine per ottenerlo, anche a distanza di 70 anni: “Mi hanno detto che i danni di guerra sono stati liquidati già negli anni Ottanta e che quindi non mi devono nulla”, racconta Giacomino Fabris. “Io ho spiegato che quelli non erano danni ma una regolare fornitura, mai pagata. Mio padre, infatti, che al tempo aveva una bottega in centro paese, non ricevette mai quella somma: difatti non sono mai stati trovati documenti con scritto ‘pagato’. Allora ho deciso di rivolgermi a un’associazione per recuperare la somma”. Gorizia, marzo 1945. Cittadini italiani arrestati dai soldati di Tito vengono condotti per le strade seguiti da una piccola folla di filojugoslavi e di comunisti Del caso si sta occupando l’agenzia Agitalia: “Abbiamo proceduto a un conteggio analitico della somma, tramite un nostro consulente contabile, ed è risultato un credito di 47mila euro in favore del signor Fabris”, spiega Giovanni Rossetti della direzione di Agitalia, che aggiunge: “La somma è comprensiva di interessi, rivalutazione e capitalizzazione, e riguarda il periodo che va, appunto, dal 6 febbraio del 1946 al 9 giugno di quest’anno, data, questa ultima, della diffida inviata all’Anpi in cui si chiede la restituzione della somma rivalutata”. Forse a far dimenticare il pagamento avranno contribuito gli alcolici, magari prelevati dalle bande comuniste per lavarsi la coscienza in quelle terre dove il conflitto non sarebbe finito con il 25 aprile 1945 ma proseguito tutto a danno e sulla pelle degli Italiani residenti nelle terre occupate dalle orde titine, responsabili degli infoibamenti di decine di migliaia di persone colpevoli solo della loro italianità, con l’appoggio e la protezione proprio dei partigiani rossi. Francesco Meneguzzo www.ilprimatonazionale.it/cronaca/anpi-conto-di-47mila-euro-per-merce-prelevata-dai-partigiani-nel-1945-25381/
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MTV sta con i partigiani: una storia d’amore tutta americana (Il Primato Nazionale) Roma, 20 apr - Nella vita ci sono legami che non si spezzano, che nonostante il trascorrere del tempo restano intatti, a testimoniare una relazione non casuale né passeggera. Si chiama vero amore, o sinergia programmatica. È quella che ha sempre legato, per esempio, Stati Uniti e partigiani: i vincitori della Seconda guerra mondiale e i loro epigoni italiani. A distanza di 70 anni, questo legame non si è ancora esaurito, il pianeta madre non si dimentica dei suoi satelliti sparsi nello spazio. A evidenziarlo l’impegno di MTV per la campagna governativa di ricordo dell’anniversario della ‘liberazione’. Si legge sul sito del network americano: “Il Coraggio di… è l’iniziativa volta a rendere di nuovo attuali i valori della lotta partigiana e della Resistenza per riaffermarli con forza, specie in un momento di crisi come quello che stiamo attraversando”. Il tono è quello da volantino di collettivo antifascista, e resta da capire chi scrive i testi a chi. Come indizio, possiamo dire che i partigiani di ieri e di oggi interpretano da sempre uno spartito scritto oltre Atlantico. MTV conferma così la sua posizione di base americana in servizio permanente effettivo. La strategia colonialista degli Stati Uniti in effetti ha sempre corso su di un doppio binario: quello militare e quello culturale. O meglio dire consumista: dopo le armi arrivano i prodotti, dopo la conquista del corpo del nemico, si compra la sua anima. MTV rappresenta uno degli emblemi di questa strategia, completando l’opera dell’esercito americano o addirittura sostituendolo, come in Cina, dove ha funzionato come cavallo di Troia per le multinazionali straniere, che aspettavano sulla soglia di mettere le mani su uno dei mercati più grandi del mondo. “Sogno un mondo dove tutti bevano Coca Cola, mangino da McDonald’s, guardino MTV e vestano con i miei abiti”, diceva del resto Tommy Hillfiger, ambasciatore dell’american style. Un canale in teoria solo musicale, diventa così la miglior glassa per coprire il sapore del messaggio politico subliminale. Dopo aver adescato generazioni di ragazzini con i video delle canzoni, MTV ha iniziato a mettere gocce di cianuro dentro l’happy meal televisivo, a riempire il vuoto che aveva creato ad arte nella testa di miliardi di teen ager in tutto il mondo. Nasce così la campagna a sostegno di Bill Clinton nel 1992, le battaglie per affermare il politicamente corretto su sessualità, diritti, razzismi, guerra, il sostegno alle primavere arabe e a tutti gruppi che il Matrix americano trasforma in Agenti Smith dopo aver destabilizzato il loro paese con qualche accusa di genocidio, con qualche prova falsa di arma di distruzione di massa, con la solita scusa dei diritti umani, che di solito odorano di petrolio e potere. Così MTV, fra un culo e una tetta, fra uno spot e un programma che ci educa a voler diventare una star e spendere miliardi in water dorati o auto di lusso, fra un video censurato perché politicamente scorretto e licenziamenti in serie di precari, ci infila le sue campagne politiche travestite da informazioni oggettive donate ai nostri ragazzi. L’omaggio con il panino. Jovanotti formato famiglia. Ed ecco quindi spuntare la campagna a favore dei partigiani, degli eroi della liberazione a stelle e strisce, della prima importazione di cioccolata e stupri sulle nostre coste. Usiamo quindi tutti l’ashtag della campagna: #ilcoraggiodi, per ricordare gli eroi di 70 anni fa: #ilcoraggiodi i bambini di Gorla, #ilcoraggiodi Norma Cossetto, #ilcoraggiodi chi è stato ammazzato a sangue freddo a guerra finita, #ilcoraggiodi Giovanni Gentile, #ilcoraggiodi chi è sopravvissuto al triangolo rosso, #ilcoraggiodi dalmati e istriani… Ettore Maltempo www.ilprimatonazionale.it/cultura/mtv-campagna-70-anni-liberazione-21660/ Mostra meno
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a proposito di servilismo da pezzenti, leggete un pò cosa c'è scritto qui: Obama incorona Renzi: è lui l’uomo degli americani in Europa Washington, 18 apr - Serve un più d’America all’Europa. Sembra essere questa l’unica conclusione degna di nota uscita da quell’incontro fra vecchi amici che è diventata la visita di Matteo Renzi a Barack Obama. Per il resto solo battute e siparietti, nonché tanti, reciproci complimenti. Segno che il premier italiano ha fatto i compiti a casa e si è meritato uno zuccherino. Il presidente del Consiglio, del resto, largheggia in complimenti: “È un onore per me e per il governo essere qui alla Casa Bianca, nel cuore della libertà. Voglio ringraziare il presidente Obama per la straordinaria leadership che sta esperimento a livello di politica estera e nel modello economico. Non posso che apprezzare il lavoro svolto dagli Usa nella complessa vicenda di Cuba”. Non manca l’auspicio, da parte di Renzi, che il 2015 sia “l’anno della svolta per il Trattato di libero scambio tra Europa e Stati Uniti”. E ancora, per non farsi mancare nulla: “Ringrazio Obama per lo straordinario contributo profuso per la nostra Liberazione” (in che battaglione era arruolato Obama nel 1945?).
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E arrivò la democrazia nucleare: i 70 anni di Hiroshima (Il Primato Nazionale) Roma, 6 ago - Hiroshima, 6 agosto 1945, 8 del mattino. Tre solitari bombardieri americani B-29 si stanno avvicinando alla città nipponica nella cui baia, quasi 4 anni prima, era ormeggiata la corazzata Nagato sede del comando dell’ammiraglio Yamamoto durante l’attacco a Pearl Harbor. L’ironia della storia, voluta o meno: il primo, orrendo passo che condurrà al termine della guerra nel Pacifico viene fatto nello stesso posto dove era iniziata. “Little boy”, ragazzino, era il nome della bomba a fissione che trasportava il B-29 che il pilota, Paul Tibbets, aveva chiamato come sua madre: “Enola Gay”. “La” bomba, non una bomba qualsiasi, ma una come non se ne erano mai viste in tutta la storia delle guerre: pochi chili di uranio (circa 64), in confronto alle bombe convenzionali fino ad allora usate che potevano arrivare anche a migliaia di chili di esplosivo, ma dalla potenza devastante, la potenza dell’atomo. Il fuoco nucleare era stato già svelato nel deserto americano qualche settimana prima: il primo ordigno bellico che l’uomo abbia mai visto fu fatto detonare una mattina di luglio nei pressi della cittadina di Alamogordo, nel Nuovo Messico. Il presidente Truman era arrivato a Potsdam, dove l’indomani, 17 luglio, si sarebbe tenuta la conferenza che avrebbe dato l’assetto finale al mondo, diviso in sfere di influenza tra le due grandi potenze vincitrici, USA e URSS, quando ricevette un messaggio in codice: “I bambini sono nati felicemente”. Era il segnale che il primo ordigno atomico del mondo era detonato con successo. Il B-29 “Enola Gay” col suo equipaggio Ore 8:15. Da un’altezza di quasi 10 mila metri, il B-29 di Tibbets sgancia la bomba. Gli altri due velivoli dello stesso tipo che volano di conserva fanno partire gli strumenti scientifici di cui sono pieni. Il cronometro conta 57 secondi di caduta libera, e ad un’altezza prefissata di 600 metri il “ragazzino” esplode con una potenza di 13 kilotoni, 13 mila tonnellate di TNT equivalenti in una volta sola, più o meno sopra il ponte a T che unisce le due metà della città giapponese: un obiettivo facile da traguardare per il bombardiere. Hiroshima dopo il bombardamento atomico 20 milioni di gradi centigradi al nucleo dell’esplosione, 300 mila gradi ad un chilometro di distanza, 80 mila persone, uomini, donne e bambini semplicemente scompaiono: 30 mila atomizzati dall’immenso calore della detonazione vengono risucchiati all’interno della palla di fuoco che risale nell’atmosfera insieme a detriti infiammati, polvere, e a tutto quello che i terribili venti dati dal risucchio strappano dalla terra. Non sono le radiazioni che uccidono quella mattina ad Hiroshima, quelle mieteranno vittime dopo, nelle ore e nel tempo a seguire: mesi, anni, in cui chi è stato esposto al fallout radioattivo della bomba si ammalerà di cancro, leucemia e altre malattie mortali. Quantificare esattamente quanti moriranno negli anni successivi all’esplosione è difficile, ma il conteggio dei morti è solo una macabra statistica: l’uomo per la prima volta aveva un ordigno dalla potenza così devastante da poter distruggere la sua stessa civiltà. Ed è stato proprio in nome della civiltà americana che il primo di questi ordigni è stato sganciato su di una città, uccidendo in un giorno solo 40 volte le persone che perirono durante l’unico attacco nipponico su suolo americano, Pearl Harbor. La democrazia nucleare era arrivata sul suolo nipponico, e dopo pochi giorni sarebbe tornata su di un’altra città, Nagasaki, causando altre decine di migliaia di vittime e spingendo il Giappone ad accettare la pax americana, che fu siglata un mese dopo sul ponte della corazzata Missouri ormeggiata nella baia di Tokyo. Il Giappone imperiale cessò di esistere, sconfitto da quello che ormai gli stessi storici sono concordi nel definire un altro tipo di impero, quello americano, che si sostituì al Giappone nel dominio dell’area Pacifica, e che si contrappose, insieme alle altre nazioni vincitrici e sconfitte, al nuovo nemico che subito si delineò al termine della guerra: l’Unione Sovietica ed i suoi satelliti. Ma questa è un’altra storia. Paolo Mauri www.ilprimatonazionale.it/cultura/e-arrivo-la-democrazia-nucleare-i-70-anni-di-hiroshima-28632/
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@NEROITALICO 9 лет назад
La data del 25 aprile fu fissata dagli Alleati per la conferenza di apertura a San Francisco delle Nazioni Unite e per l'insediamento a presidente di Truman. Fino a Mussolini SOPPRESSO (notte tra 27 e 28i) i "partigiani" si mossero con cautela, attendendo gli Alleati, che, dalla notte del 28 allestirono oltre 200 cineasti di Combat Film in Piazzale Loreto (su piattaforme o piani alti) per filmare il sabba del giorno dopo. Gli Alleati armati stazionarono fuori Milano per permettere i massacri loro utili, ma demandati ai "macellai" italianofoni (adusi a servirli allora come ora).
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@NEROITALICO 9 лет назад
Ecco perché il 25 aprile non è una festa di popolo (Il Primato Nazionale) Roma, 23 apr - Proviamo a fare un ragionamento sereno sul 25 aprile, vi va? Quando dico un “ragionamento sereno” intendo dire un discorso in cui il giudizio di valore sul fascismo, sull’antifascismo, sulla Seconda guerra mondiale, sulla Resistenza etc venga per un attimo messo in sospeso. Proviamoci, dunque. Cosa si festeggia il 25 aprile? La definizione ufficiale parla di “anniversario della Liberazione”. Sottinteso: dal fascismo. Già qui c’è il primo problema. Da un punto di vista fattuale, il fascismo cade in due fasi: la prima è costituita da un golpe militare, orchestrato dalla Corona, da frondisti interni e sotto la supervisione degli inglesi e avviene il 25 luglio del 1943. La seconda ha a che fare con la vittoria militare americana. Che ci sia stata una vasta ribellione popolare, una insurrezione di massa, un “popolo alla macchia” che ha abbattuto l’odiato tiranno è una favoletta oleografica a cui non crede più nessuno. Il contributo militare partigiano alla sconfitta del fascismo è stato del tutto trascurabile e comunque limitato alle fasi finali della guerra, quando le file della Resistenza si ingrossano di ex fascisti, opportunisti, delinquenti comuni, personaggi in cerca d’autore o di una pensione da ex combattente. Quindi, se anche di “liberazione” si potesse parlare, questa sarebbe stata compiuta dagli eserciti alleati, non certo dai partigiani. Il concetto di “liberazione”, in senso più ampio, implica inoltre una dimensione di ritrovata felicità, di pienezza di senso, di sovranità conclamata. Che gli italiani oggi non sperimentino tutto ciò da un bel pezzo è noto. E anche qui bisogna scegliere: o chi avrebbe “liberato” l’Italia si fa carico della nazione che ha edificato, come si suol dire, “sui valori della Resistenza” e ci spiega come siamo giunti fino a questo punto, oppure ci si aggrappa al mito della “Resistenza tradita”. È il caso dell’odierno antifascismo militante, che tuttavia dovrebbe smetterla di inneggiare alla Costituzione e limitarsi a mitizzare la guerriglia sui monti, con tutte le contraddizioni del caso. Le divisioni fra la celebrazione istituzionale del 25 aprile e quella militante, quest’anno particolarmente acute, rientrano in questa problematica. La gazzetta ufficiale del fighettismo, Internazionale, si è lamentata che nelle celebrazioni ufficiali del 70esimo anniversario della “liberazione” (cioè nella campagna #ilcoraggiodi, lanciata da Palazzo Chigi) sia stato rimosso l’antifascismo. Si parla di un generico “coraggio”, dei “patrioti” che hanno dato la vita “per la nostra libertà”, ma non apertamente dell’antifascismo. Leggiamo: “La liberazione è un regalo alle generazioni che verranno, un atto di fede più che di rottura, un imperativo morale più che storico. E, prima di ogni altra cosa: la liberazione è un racconto commovente. […]. La commozione mette d’accordo tutti, i belli con i brutti, è un potente veicolo retorico attraverso il quale si perdono le ragioni, in nome di qualcosa che però rimane indefinito, dai contorni incerti, in nome di qualcosa che non si sa cosa è. Chi libera cosa? Perché? Nella conferenza stampa che presenta le iniziative del settantennale si accenna en passant al fatto che la liberazione è dai nazifascisti, lo fa la ministra Giannini, dopo una decina di minuti dall’inizio della conferenza stampa. Ma non si parla mai di antifascismo. […] Della liberazione rimane, invece, l’aspetto del sogno, che diventa, sì, commovente quando, per esempio, viene affidato il discorso alla voce di Samantha Cristoforetti, che nel suo spot di #ilcoraggiodi dice: ‘Dal passato ho imparato a credere nel futuro’. Così Alex Zanardi, testimonial dell’altro video: ‘Dai nostri nonni abbiamo imparato a non arrenderci mai’. Cosa ci trasmettono il pilota e l’astronauta? Una dimensione salvifica e astorica, ma soprattutto profondamente individuale, singolare, della memoria, che si erge come pietra angolare su cui fondare un senso comune”. Quando deve spiegare perché avvenga questo, l’autrice dell’articolo invoca la rimozione della violenza che caratterizza la nostra epoca. L’antifascismo, in quanto violento, fa scandalo. Meglio affidarsi a un generico idealismo. Ma è vero solo in parte. L’odierno revisionismo - non privo di aspetti pop e superficiali, è vero, ma da che pulpito arriva la critica… - ha messo in luce le cosiddette “pagine nere della Resistenza”, in cui però quel che ripugna la coscienza comune non è la violenza in sé, quanto la violenza a guerra finita, la vendetta, la faida. Ma non è neanche questo il punto. Il punto è che l’antifascismo, in Italia, è stato un fenomeno d’élite. Già qualche tempo fa facevamo notare come suonassero stonate e in fondo incomprensibili per l’Italiano medio gli appelli alla sollevazione antifascista contro l’orda salviniana. Questa idea per cui “con i fascisti non si parla” o “uccidere un fascista non è un reato” e via delirando, molto semplicemente, è estranea alla coscienza comune degli italiani. Abbiamo anche già ricordato come per esempio un Aldo Cazzullo, cantore odierno di quella Resistenza genericamente “patriottica” e spoliticizzata, abbia ammesso di aver avuto difficoltà nel rintracciare italiani che gli raccontassero le eroiche gesta dei parenti partigiani, cosa che non era invece accaduta ai tempi delle sue ricerche sulla Grande Guerra. È la differenza fra un evento di popolo e un evento di élite. Ovviamente tutte le ideologie, al fondo, sono divisive. Lo fu certamente anche il fascismo. Ma esso seppe farsi forza non solo di massa, ma anche nazionale. Non parliamo solo dei numeri (e negli “anni del consenso” l’adesione all’avventura di Mussolini sfiorò davvero l’unanimità) ma anche di sostanza: istituendo un asse (a torto o a ragione, nella storia, non conta) fra Regime, Grande Guerra e Risorgimento, il fascismo si è inserito indelebilmente in una narrazione collettiva da cui l’antifascismo rimane carnalmente estraneo. Fascismo e Italia, per 20 anni, sono stati sinonimi. Anche fascismo e Stato sono stati a lungo sinonimi, con segni tangibili che restano anche nell’impalcatura statuale di oggi. Agli antifascisti fu riservata talora la galera e il confino, ma spesso anche uno stipendio o un ruolo nella stesura dell’Enciclopedia italiana. Che questo ecumenismo poi abbia più danneggiato che rafforzato il fascismo è un altro conto. Resta il fatto che il fascismo ha saputo essere narrazione nazionale. L’antifascismo no. Fu numericamente e qualitativamente un fenomeno di minoranza e tale resta tuttora, tant’è che per scaldare le masse nel 70esimo anniversario si è costretti a creare artificialmente il mito di una Resistenza idealistica, astorica, buonista, fatta di “brave persone”, che ci insegnano a “credere nel futuro” e a “non arrenderci mai”. Una Resistenza da Baci Perugina, da fiction Rai, da canzone di Ligabue. Una Resistenza che vuol dire tutto. E che quindi non vuol dire più niente. Adriano Scianca www.ilprimatonazionale.it/primo-piano/25-aprile-non-e-una-festa-di-popolo-21805/
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@NEROITALICO 9 лет назад
Non fu la resistenza a liberare l'Italia ma solo gli alleati (Il Giornale) Gli elementi dominanti della Resistenza, quelli comunisti, lottavano per l'Unione sovietica. Ecco perché Churchill voleva puntare non sulla Francia, ma sull'Italia Quando guardo in streaming le facce nobili dei vecchi uomini inglesi e americani e del Commonwealth che hanno partecipato all'invasione della Francia nel 1944 e che ora sono tornati alle spiagge della Normandia per commemorare il 70° anniversario del «Longest Day», e poi, quando ascolto le loro parole piango - sorridendo. Sono da onorare perché sono uomini in perfetta sintonia con la regola antica della vita, cioè: per meritare l'onore, un uomo deve dimostrare prima l'umiltà e poi la virtù. E loro, questi uomini che ormai hanno compiuto i 90 anni - e tutti i loro compagni caduti in nome della libertà - ce l'hanno fatta. Poi, però, penso alla liberazione di Roma dagli stessi anglo-americani, accaduta due giorni prima del D-Day - il 4 giugno 1944 - e mi incazzo. Per parecchi motivi. In anzitutto, mi incazzo perché sono inglese ma in Italia si commemora la liberazione d'Italia ogni 25 aprile come se fosse un lavoro compiuto da partigiani e basta. E mi sento offeso che a Forlì in Romagna dove abito la strada che porta ad uno dei due cimiteri degli alleati nella città si chiama Via dei Partigiani. E mi sento offeso che quando si parla di alleati in discorsi o sui giornali, si fa riferimento solo agli «americani». In quei due cimiteri di Forlì giacciono i resti mortali di 1.234 soldati dell'Ottava Armata Britannica. Così tanti morti, solo a Forlì. Ma vi rendete conto? Non è ora - dopo 70 anni - di affrontare una semplice verità? Eccola: la Resistenza in Italia era completamente irrilevante dal punto di vista militare. In ogni caso, nell'estate del 1944 non esisteva una Resistenza in Italia. Dopo, invece - dall'autunno del 1944 in poi - che cosa di concreto ha portato questa Resistenza? Peggio. Secondo la storiografia la Resistenza lottava per la patria, la libertà e la democrazia. Non è vero. I suoi elementi comunisti (quelli dominanti) lottavano per l'Unione sovietica, la dittatura e il comunismo. Ecco perché Churchill voleva puntare non sulla Francia, ma sull'Italia. Voleva a tutti costi fermare le forze comuniste nei Balcani e in Austria. Roosevelt no, invece, e ha prevalso il Presidente americano. Perciò, gli alleati, che avevano invaso l'Italia nel 1943, non ebbero le forze necessarie in Italia per liberarla fino all'aprile 1945. Si dice: solo grazie alla Ue ci sono stati 70 anni di pace in Europa. Non è vero. C'è stata pace in Europa solo grazie agli anglo-americani e al piano Marshall. Oggi, la Ue e la sua moneta unica rappresentano la più grave minaccia alla pace in Europa. www.ilgiornale.it/news/cultura/non-fu-resistenza-liberare-litalia-solo-alleati-1025074.html
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@NEROITALICO 9 лет назад
Ma tra il 25 luglio e l’8 settembre viene mantenuta in incubazione quella perversa creatura generata dal rapporto immorale tra lo Stato tradito e la mafia. Perché è da decenni ampiamente documentato che la Resistenza era metastatizzata dalla mafia e i mafiosi erano antifascisti. leggi il Primanto Nazionale: l'8 settembre e l'osceno concepimento www.ilprimatonazionale.it/cultura/l8-settembre-e-losceno-concepimento-29932/
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@NEROITALICO 9 лет назад
Boldrini: “Gli immigrati sono i nuovi partigiani” (Il Primato Nazionale) Roma, 26 apr - Gli immigrati sono i partigiani di oggi. Parola di Boldrini, Presidente della Camera che non perde mai occasione per regalare perle. “70 anni fa erano i partigiani che combattevano per la libertà in Italia, oggi capita che molti partigiani che combattono per la libertà nei loro paesi, dove la libertà non c’è, siano costretti a scappare, attraversando il Mediterraneo con ogni mezzo”. A dichiararlo, durante le celebrazioni del 25 aprile, colei che pochi giorni fa ha scatenato l’ironia del web e finanche del Pd per aver invocato la rimozione della scritta “Mussolini DVX” dall’obelisco del Foro Italico. Stavolta lady “Bella Ciao” non si è limitata ad un’infelice affermazione estemporanea, ha voluto articolare il suo pensiero illuminante:”Molti di quei giovani che arrivano - ha detto da Casa Cervi- nei loro paesi sono partigiani. Giovani che a volte osano sperare di poter vivere in pace e in sicurezza, osano richiedere anche loro questo diritto e a volte prendono ogni mezzo per arrivare in un posto sicuro, perché non è un diritto che vale solo per alcuni è un diritto che vale per tutti. Arrivano anche sulle nostre coste, ma avrebbero preferito stare a casa loro, ma non hanno questo privilegio: e molti di loro - ha detto - oggi sono partigiani nel loro paese”. L’illustre esegeta della Costituzione italiana ha poi rincarato la dose: “Ci pensa la Costituzione a ricordarcelo - ha sentenziato, citando l’articolo 10 della Costituzione- Lo straniero ha diritto d’asilo, vuole dire che le libertà le dobbiamo condividere con chi non le ha: questo dobbiamo ripetere ogni giorno a chi non conosce la Costituzione”. Eugenio Palazzini www.ilprimatonazionale.it/cronaca/boldrini-gli-immigrati-sono-i-nuovi-partigiani-21987/
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@NEROITALICO 9 лет назад
Maturità, Di Stefano: “Risorgimento e Resistenza? Un parallelo che non esiste” (Il Primato Nazionale) Resistenza, immigrazione, attualità geopolitica. La prima prova dell’esame di maturità porta sempre con sé polemiche e discussioni, e non manca di farlo anche nel 2015. Ne abbiamo parlato con Simone di Stefano, presidente di Sovranità e vicepresidente di CasaPound Italia, che ci rivela anche quale tema avrebbe scelto lui. Fra le varie opzioni di tracce, Italo Calvino e la resistenza. Secondo te c’è un significato politico dietro a queste scelte? Sicuramente sì. C’è un significato politico che vuole anzitutto dimenticare che ricorre anche l’anniversario della Grande Guerra, un riferimento specifico a quegli eroi sarebbe stato meglio. Con il tema sulla resistenza rientriamo nell’operazione che si vede da sempre: si cercano argomentazioni che dividono il popolo italiano invece che unirlo. Tra l’altro il personaggio del quale si riporta la lettere non è il “classico ” archetipo del partigiano (il combattente sui monti, con spiga in bocca e cappello di paglia) ma un militare che, fino ad um certo punto, ha fatto il suo dovere, tanto che era stato pure decorato in missione contro i ribelli che combattevano in Africa. Sarei curioso di sapere su questa circostanza cosa ne pensano la Boldrini eccetera. Peraltro, il tema non si sarebbe potuto svolgere senza il proditorio attentato partigiano di via Rasella, che com’è noto fu la causa scatentante della rappresaglia alle Fosse Ardeatine dove il soldato passato con la resistenza perse la vita. Resistenza e Risorgimento, il tema accostava -usando le parole dell’autore della lettera, un condannato a morte- le due epoche evidenziandone una continuità. Esiste davvero un legame storico? Secondo me ovviamente non esiste: è forzato, le parole riportate nella traccia sono state poi del tutto disattese negli anni successivi e fino ad oggi. Ciò di cui parla nel suo testamento spirituale lo abbiamo osservato per l’ultima volta nel Ventennio, dopo si è visto solo un lento declino. Le persone che hanno proposto oggi questo tema non riescono a masticare la parola Italia, un termine per loro indigesto, non riescono nemmeno a difenderne i confini. “Il Mediterraneo come atlante geopolitico e specchio di civiltà”, è la traccia per uno dei quattro saggi brevi. Il tema dell’immigrazione è sicuramente una questione di attualità, o c’è secondo te dell’altro? Che il Mediterraneo sia un pezzo importante della geopolitica sia nostra che mondiale, penso non ci siano dubbi. Spero che qualche studente l’abbia sottolineato, specialmente nei termini di far ritornare l’Italia nella sua centralità. ma credo che in molti abbiano scelto la traccia principalmente per sottolineare i problemi odierni relativi all’immigrazione. Che tema avresti scelto? Quello sulla resistenza, anche rischiando la bocciatura. Filippo Burla www.ilprimatonazionale.it/primo-piano/la-resistenza-alla-maturita-di-stefano-argomenti-che-dividono-il-popolo-italiano-anziche-unirlo-25602/
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@NEROITALICO 8 лет назад
L'edificante epopea dei partigiani costruita a tavolino - parte 2 (continua da prima parte) La clamorosa denuncia dell'esistenza di una centrale della contraffazione, costituisce l'anello mancante di un teorema logico che gli storiografi di impostazione mentale laica, cioè non dottrinale, hanno sempre cercato di dimostrare. Vale a dire: i documenti sui quali è stata intessuta la trama della narrazione resistenziale non convincono. Ora sappiamo perché. I materiali apocrifi costruiti da Ciappina-Coppeno furono il preludio di una colossale opera di elaborazione storiografica mistificatoria che non è ancora cessata. Osserva, del resto, Riccardo che il falsario di partito lasciava, per così dire, le impronte del suo delitto nelle modalità stesse del confezionamento, in sequenza, di documenti in realtà non coevi: quelle carte risultavano infatti essere «dattiloscritti senza firma o con firma a macchina».Chiunque può constatare di persona che è proprio così: il compilatore seriale della storia bugiarda produsse documenti quasi sempre privi di firma autografa, o di altri elementi (come interpolazioni e correzioni manoscritte) che ne attestassero la genuinità sotto il profilo materiale. Autentiche polpette avvelenate, versate poi, in gran parte, all'Istituto Gramsci, dove poi Perretta andò a riesumarle. Istituto Gramsci il quale si fece, a sua volta, ente certificatore dell'autenticità e della sicura provenienza di quelle carte. Il bello è che, nella nota introduttiva al testo, lo stesso curatore compiva un'ammissione che, alla luce della lettera di Gementi, suona alquanto compromettente. «Date le condizioni delle copie originali», infatti, si era proceduto alla «loro ribattitura e riduzione rispettando rigorosamente il testo originale». Insomma, secondo Perretta, era stata effettuata la riscrittura, in forma dattilografica, delle fantomatiche carte originali, prendendo a pretesto le condizioni di cattiva conservazione, e conseguentemente di difficoltosa decifrazione, delle stesse.Ma, se così si fosse fatto, il curatore avrebbe dovuto avvertire quantomeno il dovere metodologico di produrre, in immagine, nelle pagine a fronte di ogni riduzione dattilografica (com'egli la chiama), i testi originali. Cosa che si guardò bene dal fare. Perretta non volle nemmeno spiegare quando, come, e da parte di chi, fosse stata realizzata questa colossale operazione da copisti. Questo autentico ginepraio ci riporta alle considerazioni dubitative di Gementi: a meno di voler per forza seguitare a supporre l'esistenza di veri documenti originali, gli unici originali paiono essere quelli, contrabbandati per tali, la cui matrice ci riporta alla figura di Ciappina-Coppeno e alla sua investitura a falsario di partito.Sorge del resto il sospetto che il Pci assumesse, per così dire, per vizio metodologico generalizzato, la predisposizione di un arsenale documentario realizzato in vitro, con un quadruplice scopo: alimentare il mito della propria forza egemone nel movimento partigiano, silenziare tutte le fonti non allineate con la propria verità di partito, riempire i vuoti narrativi e insieme occultare le degenerazioni violente della Resistenza. 1. Continua... www.ilgiornale.it/news/spettacoli/costruire-tavolino-ledificante-epopea-dei-partigiani-comunis-1228073.html
@francopicerni5467
@francopicerni5467 7 лет назад
grazie per ricordare che esistiamo e che il nostro capo non si chinera' mai davanti alle loro menzogne
@NEROITALICO
@NEROITALICO 8 лет назад
Elenco parziale delle stragi operate dai partigiani dal 1943 al 1949 vedi link nella risposta sotto:
@NEROITALICO
@NEROITALICO 8 лет назад
triangolodellamorte.blogspot.it/
@NEROITALICO
@NEROITALICO 8 лет назад
***** ripagati con quale moneta. Lo vedi che voi zecche non capite un cazzo? prima cosa: togliatti fece l'amnistia principalmente perchè doveva far uscire dal carcere tutti i suoi compagni che durante la guerra si erano macchiati di crimini atroci, poi volle sfruttare l'apparato dirigente fascista per creare un nuovo Stato, visto che di gente colta e professionalmente preparata a sinistra ce n'era poca. seconda cosa, la sai la differenza tra un soldato legittimo e un terrorista assassino? Te la spiego: Nel verbale della Guardia Nazionale Repubblicana (Archivio Centrale dello Stato, Fondo Gnr, c. 36, f.VII, sf.8.) si legge: . Nessuno ha rivendicato quell’attentato, nessuno ha indicato l’autore, nessuno ha saputo spiegare le motivazioni. Rimane il fatto condannabile in quanto diretto contro la popolazione civile, persone che erano attorno all’autocarro tedesco carico di bidoni di latte, distribuito gratuitamente. È una storia che merita di essere raccontata. Il fatto è avvenuto a Milano, ma poteva accadere in qualsiasi altra città del Centro-Nord. Principalmente dopo le sconfitte dell’Asse in Russia e in Africa del nord, i capi Alleati imposero l’ordine indicato come Moral Bomber, accompagnato da questo incitamento di Winston Churchill: . Di conseguenza gli aerei alleati, ormai padroni degli spazi aerei, possono sciamare indisturbati, mitragliando qualunque cosa si muova, perfino il singolo ciclista. L’afflusso di viveri dalla campagna si riduce quasi a zero e nelle città si muore letteralmente di fame. E, di conseguenza, la crisi colpisce soprattutto i bambini e, particolarmente i neonati; le loro madri hanno poco latte. Spinto da impulso personale, un anziano sottufficiale della Wehrmacht, quando può, si muove con un piccolo camion fa il giro delle campagne a procurare del latte e, tornato in città, parcheggia il mezzo sempre nella stessa località, a Viale Abruzzi il sottufficiale tedesco provvede alla distribuzione del prezioso alimento. Alle nove una mano misteriosa depone sul sedile dell’automezzo una bomba. Riportiamo quanto ha scritto lo storico Franco Bandini su Il Giornale del 1 settembre 1996: . “Affare italiano”, ma non tutti sono d’accordo. Questo di Viale Abruzzi non è che uno dei tanti attentati e ciò rende il comando germanico furioso. Uno degli addetti al comando era il capitano Theodor Saevecke che ordina una rappresaglia nella misura di uno per uno. A questa si oppongono il cardinale Schuster, il prefetto Pietro Barini che si dimette. Mussolini invia una protesta all’ambasciatore tedesco presso la Rsi, Rudolf Rahn, accompagnandola con queste parole: . Niente da fare! Theodor Saevecke pretende la rappresaglia e compilò lui stesso la lista, come testimoniato da Elena Morgante, impiegata nell’ufficio delle SS, cui fu ordinato di battere a macchina i nomi dei 15 ostaggi, imprigionati nelle carceri di Milano. Ecco i nomi: Gian Antonio Bravin (28 febbraio 1908), partigiano del varesotto e capo del III gruppo GAP (Gruppo Azione Partigiana); Giulio Casiraghi (17 ottobre 1899) incaricato ai rifornimenti di armi alle formazioni partigiane; Renzo del Riccio (11 settembre 1923) partigiano delle formazioni Matteotti operante nel comasco; Andrea Esposito (26 ottobre 1898) partigiano della 113° brigata Garibaldi; Domenico Fiorani (24 gennaio 1913) appartenente alle brigate Matteotti; Tullio Galimberti (31 agosto 1922) membro della 3° brigata d’assalto Garibaldi GAP; Emilio Mastrodomenico (30 novembre 1922) capo dei GAP; Angelo Poletti (20 giugno 1912) partigiano in Val d’Ossola, appartenente alla 45° brigata Matteotti; Salvatore Principato (29 aprile 1892) membro della 33° brigata Matteotti; Andrea Ragni (5 ottobre 1921) partigiano formazione Garibaldi, Eraldo Soncini (4 aprile 1901) appartenente alla 107° brigata Garibaldi; Libero Temolo (31 ottobre 1906 partigiano delle SAP: Vitale Vertemati (26 marzo 1918) partigiano della Garibaldi GAP; Umberto Fogagnolo (2 ottobre 1911) rappresentante del Partito d’Azione; Vittorio Gasparini (30 luglio 1913) incaricato della trasmissione radio messaggi clandestini. Come si vede dall’elenco 13 erano partigiani riconosciuti e i due ultimi dell’elenco, anche se coinvolti nella Resistenza, non risultano partigiani. Così il 10 agosto successivo i quindici ostaggi vennero fucilati dai militi della legione Ettore Muti, eseguendo l’ordine di Saevecke il quale, affidando la fucilazione ad una formazione italiana intendeva rimarcare che era un affare italiano, ignorando le proteste di Mussolini, di Schuster e del prefetto italiano. Ma la spirale della pazzia continua con l’ordine dato dal CLNAI alle formazioni partigiane di montagna di procedere, quale rappresaglia alla rappresaglia, alla fucilazione di 30 militi della Rsi e di 15 tedeschi prigionieri, appunto, dei partigiani. Quale era la figura e la legittimità del partigiano? Da Diritto Istituzionale, pagg. 583-584: . È facile dimostrare che il partigiano non rispettava alcuna di queste norme imposte dalle Convenzioni Internazionali del tempo; quindi il partigiano era un illegittimo combattente. Cosa prevedeva il Diritto Internazionale per l’illegittimo combattente? Pag. 584, art. 4: . A convalidare quanto disposto dal Diritto Internazionale, c’è una sentenza del 26/4/1954, quindi ampiamente dopo la fine delle ostilità, emessa dal TRIBUNALE MILITARE, sentenza che mandò in bestia i più alti esponenti dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani), essa attesta: . E cosa prevedeva la suddetta sentenza al riguardo delle forze della Rsi e dei partigiani? Essa attestava: . E di seguito: . …e le rappresaglie? Sempre dal Diritto Internazionale, pag. 792, art. 2) . Prima considerazione - che ritengo assolutamente superflua - il partigiano era un illegittimo combattente, ma la sua azione poteva condurre alla rappresaglia, di contro il combattente della Repubblica Sociale Italiana era un legittimo combattente in quanto, al contrario del partigiano, rispondeva, per essere tale, a tutte le condizioni sopra riportate. Ma le situazioni che producevano la lotta clandestina hanno condotto a situazioni ancora più gravi, situazioni che sono molto, ma molto poco note al grande pubblico. Infatti: quali erano le finalità della lotta clandestina o partigiana, comunque la vogliamo chiamare? Diamo ora uno sguardo come i partigiani (specialmente quelli comunisti che erano la stragrande maggioranza) seppero approfittare e sfruttare l’ignobile diritto della rappresaglia. Il democristiano Zaccagnini lasciò scritto: . E ancora più specificamente l’ex fascistissimo, poi super antifascista e capo partigiano Giorgio Bocca, ci spiega il perché degli attentati: . Cos’altro c’è da aggiungere? Vi ricordate le lacrimucce che versavano i vari esponenti delle formazioni partigiane quando andavano a commemorare le stragi nazifasciste alle Cave Ardeatine, a Marzabotto, a Piazzale Loreto o ovunque fossero avvenute queste orribili mattanze?...Quei martiri (reali) furono uccisi per volontà dei capi del CLN e cito alcuni nomi dei responsabili di queste vigliaccate: Sandro Pertini, Luigi Longo, Palmiro Togliatti e tanti altri. Questi signori cercarono, pretesero e ottennero le rappresaglie così da far dei tanti innocenti assassinati, le finalità per le loro mire politiche. Questo spiega il perché tanti autori di attentati non si presentarono per salvare la vita di innocenti ostaggi: non fu per vigliaccheria, come molti li accusarono, ma semplicemente perché se lo avessero fatto, l’agognata rappresaglia non si sarebbe verificata. Per completare la conoscenza del partigiano, esaminiamo anche il loro stile di lotta. Dal libro 7° GAP di Mario De Micheli - Edizioni Cultura Sociale, Roma 1954: . Dopo questo saggio di “lealtà, di coraggio e di eroismo”, leggiamo uno stralcio di cosa ha scritto Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny: . C’è altro da aggiungere? Allora festeggiamo la Resistenza così come ci è stata tramandata.
@lorenzocannarile864
@lorenzocannarile864 8 лет назад
+nero italico taggamece che non li trovo grazie a te
@NEROITALICO
@NEROITALICO 8 лет назад
+Lorenzo Cannarile guarda nella lista video del mio canale. Li trovi in sequenza
@NEROITALICO
@NEROITALICO 8 лет назад
Ormai questa è una repubblica fondata sul diritto insindacabile dei tribunali. Nel Medio Evo la Santa Inquisizione era al servizio del Papa Re, qui ora il Giudice è imperatore e tutto gli è subordinato. I giudici stabiliscono chi deve o non deve fare politica, chi deve o non deve fare commercio, chi deve o non deve fare economia e finanza e ora, non solo cosa è storia e cosa no, ma chi può fare o non fare lo storico e come. Per quanto se fosse veramente attuato a tutti il metro stabilito dalla Cassazione, allora tutti gli "storici" contigui e apologeti della Resistenza andrebbero perseguiti assieme a tutti gli iscritti all'ANPI per la caterva di manipolazioni, approssimazioni, distorsioni e balle assunte come dato storico e addirittura propalate nelle scuole, nei media e in piazza.citazione
@beppe396
@beppe396 8 лет назад
ho visto tutti i tuoi video di questa serie e purtroppo è vero che non ci hanno liberato anzi ci hanno colonizzato e ogni decisione di Washington e di Londra e Bruxelles dobbiamo obbedire come animali
@NEROITALICO
@NEROITALICO 8 лет назад
Antifascisti terminali a Roma Disabili, turisti tedeschi scambianti per "musicisti fascisti"... ma non vi fate un po' schifo? La prossima volta cosa? Un bambino? un pensionato? un moribondo? Frustrati, siete solo frustrati. FECCIA D’ITALIA! In questa fase è bene capire una cosa: il nemico principale oggi non è (più) l'antifascismo post sessantottino di cui a Roma ieri si è celebrato il funerale (basta considerare non solo la mancata partecipazione di massa su cui poteva contare negli anni '70 ma anche solo un minimo di partecipazione di quella roba che loro chiamano "società civile"). Era lì, in piazza questo antifascismo psicopatico e residuale, ridotto all'osso, con spinellati, invasati, tarantolati, stortignaccoli, malformati nello spirito e nell'anima, a balbettare slogan logori e privi di ogni portato politico-culturale, sorretti dalle truppe cammellate di giovinastri africani scappati di casa, che da infami hanno lasciato al loro paese madri, padri e anche figli e mogli a sfangarsela con l'opressione imperialista, la fame e la guerra per venire qui a rivendicare diritti e cittadinanza. Ancora una volta sono gli imboscati nelle redazione dei quotidiani, dei TG della TV, dei programmi di "approfondimento" a svolgere il lavoro sporco. Sono questi che istigano, che manipolano i psicolabili, che tentano di fomentare e distorcono realtà e fatti. È su di questa truppa che va portata l'attenzione, la riflessione e riformulata una efficae strategia di contenimento. L'Antifascismo militante è in agonia, rantola, e rantolando assesta gli ultimi colpi di coda. i pennivendoli, gli imbonitori, i tragicatori vili prezzolati e retribuiti a cui si agevola la carriera sono la proiezione qualificata del nemico principale. cit. NEROITALICO