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Charles Villiers Stanford (1852-1924): Preludio e Fuga in do minore, Op 193 n. 2 

Giulio Piovani
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Registrazione dal vivo dal concerto del 3 agosto 2023. Ringrazio vivamente il M° Salvatore Reitano per la registrazione.
I tre Preludi e Fuga Op 193 furono composti da Stanford negli ultimissimi anni di vita (probabilmente nel 1922), ed occupano il penultimo posto nel catalogo delle opere dell'Autore; nonostante le loro dimensioni relativamente contenute, in essi Stanford infonde il consueto impianto sinfonico nell'utilizzo dell'organo. Il secondo della serie sembra imporre un netto contrasto rispetto al primo sotto diversi punti di vista: tonale (stessa tonalità ma modo opposto), ritmico (tempo composto sia per il preludio che per la fuga, contro il tempo semplice del precedente), ma soprattutto di carattere: mentre il preludio in do maggiore, ora luminoso ora malinconico, genera comunque un senso di sicurezza, quello in do minore crea da subito una coltre di incertezza; la melodia si frammenta in una successione di incisi brevi, quasi come se un denso fumo impedisse di vedere oltre, l’accompagnamento è contorto e l’armonia piuttosto enigmatica. Di tutt’altro impatto risulta invece la fuga, vigorosa e tecnicamente impegnativa nonostante la scrittura sia spesso solo a tre parti: essa trae linfa da un soggetto assertivo, caratterizzato dalla ripetizione dello stesso inciso che si apre con uno slancio dato dal salto di ottava ascendente; l’esecuzione viene notevolmente complicata dalla dovizia di segni di articolazione che l’Autore prescrive per le singole voci, mentre viene lasciata libertà nella scelta timbrica. Lo sviluppo, frenetico e turbolento, comprende alcune evoluzioni armoniche particolarmente ardite, per sfociare in una coda nella quale la ripetizione ostinata dello stesso inciso al pedale crea quasi l’effetto di un terremoto.
The three Preludes and Fugue Op 193 were composed by Stanford in the very last years of his life (probably in 1922), and occupy the penultimate place in the catalog of the Author's works; despite their relatively small size, Stanford instills the usual symphonic system in the use of the organ. The second of the series seems to impose a sharp contrast with respect to the first under various points of view: tonal (same key but opposite mode), rhythmic (compound tempo for both the prelude and the fugue, against the simple tempo of the previous one), but above all of character: while the prelude in C major, now bright now melancholic, still generates a sense of security, the one in C minor immediately creates a blanket of uncertainty; the melody is fragmented into a succession of short passages, almost as if a thick smoke prevented one from seeing beyond, the accompaniment is twisted and the harmony rather enigmatic. The fugue, on the other hand, has a completely different impact, vigorous and technically demanding despite the writing being often only in three parts: it draws lymph from an assertive subject, characterized by the repetition of the same passage which opens with an impetus given by the ascending octave leap; the execution is considerably complicated by the wealth of articulation marks that the composer prescribes for the individual voices, while freedom is left in the choice of stops. The development, frenetic and turbulent, includes some particularly daring harmonic evolutions, to flow into a coda in which the ostinato repetition of the same element on the pedal almost creates the effect of an earthquake.

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23 окт 2024

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