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Festa di San Rocco, Compatrono di Rivarolo Canavese 

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Compatrono di Rivarolo Canavese, San Rocco ispira la pietà popolare da oltre 700 anni e, così come sono scarne le notizie sulla sua biografia, è viva ed ancora oggi diffusa la devozione per questo Testimone che illustra - lo ricorda don Davide Damiano, nel corso dell’omelia dettata venerdì 16 agosto scorso, memoria liturgica del Santo - non soltanto la sopportazione della “peste”, malattia della carne, quanto - per l’uomo e la donna d’oggi - l’idea che non lasciarsi “contaminare” dalla pestilenza del relativismo sia possibile e non solo necessario.
La pestilenza che presenta il peccato come opportunità di libertà ed autodeterminazione; la verità come una delle opzioni possibili, la fede come fatto privato e non idoneo ad edificare quella “società terrena” di cui, invece, l’insegnamento di San Giovanni Paolo II vuole il cristiano “costruttore responsabile” (Sollicitudo rei socialis, 1987).
Ma andiamo con ordine.
***
Venerdì appena trascorso, 16 agosto, ricorreva la memoria liturgica di San Rocco di Montpellier, la cui venerazione, soprattutto nei contesti agrorurali, costituisce da secoli un comun denominatore identitario di tanta parte del nostro Paese.
E Rivarolo Canavese vive da 500 anni una sincera e profonda devozione per questo Santo, che è compatrono (con San Giacomo) della città.
Molto partecipata - nonostante il giorno fosse feriale e l’orario mattutino - la celebrazione, che il Parroco Don Raffaele Roffino ha voluto fosse presieduta da un giovane, ma molto preparato, Sacerdote della Diocesi, Don Davide Damiano (ora studente a Roma in Diritto Canonico) alla presenza di altri giovani assai promettenti come Don Antonio Luca Parisi, Don Davide Kamal, Don Davide Mazza.
L’omelia di Don Damiano è riproposta integralmente nel video che, insieme alle immagini e ad altre parti della mattina, è stato messo a repertorio da Gian Carlo Guidetti.
***
Una vita travagliata, quella di San Rocco (al termine di queste righe un estratto biografico curato da Elisa Moro) permeata dall’idea di un itinerario che “cambia” la persona: il pellegrino si fa discepolo nella sequela di Cristo, condividendone - così come Maria - la passione.
Perché - è l’insegnamento di San Paolo (Eb. 11,1) - “La fede è il fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono”.
La breve, ma ricca di contenuti e spunti per una riflessione che potrà farci compagnia anche nei giorni a venire, omelia di don Davide spazia per orizzonti ampi della cultura di un’Europa che - al suo stato nascente - sta sullo sfondo dell’esperienza di San Rocco.
Nel richiamo a Johann Wolfgang Goethe recupera l’idea di un “riappropriarsi” di ciò che ci è stato tramandato, idea che sarebbe stata, più tardi, cara ad Alberto Arbasino nel suo “Un Paese senza”, titolo che introduce, nella preposizione, proprio l’assenza della “memoria”, come risorsa per guardare il futuro senza soccombere all’insidia un oblio che presenti come novità semplicemente ciò che è senza radice.
***
Guardare alla vita dei Santi significa anche questo, leggere nelle loro testimonianze la possibilità, la via alla santità che è offerta a ciascuno di noi: senza però cadere in un errore, quello di credere che la salvezza ci sia data “perché siamo stati bravi”.
E’ vero, invece, che la salvezza ci viene data, ci è già stata preparata, per amore, l’amore che si è fatto carne viva nella persona di Cristo.
Tra il “già” della venuta di Cristo ed il “non ancora” dell’avvento pieno del Regno, sta il crinale stratto, come tra tempo ed eternità, lungo il quale si compie la nostra storia di battezzati.
***
Al termine della Liturgia si è snodata la processione lungo le vie della conducendovi la sacra effige del Santo, in segno di unione benedicente tra la comunità ecclesiale e quella civile.
Rientrati in chiesa, le Priore, che hanno condotto i preparativi con grande sollecitudine e disponibilità, Giulia Michela Demaria e Laura Tonso, hanno dispensato il pane benedetto di San Rocco, memoria di quel pane che la tradizione vuole sia stato portato fino agli ultimi suoi giorni al Santo da un cagnolino, segno di quella così profonda e misteriosa amicizia tra il cane e l’uomo di cui anche il Salvatore ha voluto parlarci nell’episodio del povero Lazzaro, ignorato e forse guardato con degnazione da tanti, se non tutti i suoi contemporanei, eppure in qualche modo consolato da quei cagnolini che ne lambivano le piaghe del corpo - ma, è lecito credere - anche dell’anima.
(il seguito dell'articolo su www.risvegliopopolare.it) ....

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20 сен 2024

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