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Veglia Pasquale: 31 MARZO 2024 

LOURDES11feb1858
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Sabato Santo : PRECONIO PASQUALE. Il preconio pasquale: Exultet ! - Le sue antiche origini. Le celebrazioni della notte di Pasqua portano con sé un antico rito medievale: la benedizione del cero e la proclamazione del preconio pasquale, una composizione che annuncia il trionfo del Cristo risorto e che viene cantata dal diacono all'inizio della veglia, accanto al cero. Il testo inizia con la parola Exultet, vocabolo da cui venne in Italia il nome dei rotoli di pergamena su cui localmente era scritto; ancora oggi l'inno stesso viene in genere chiamato anche Exultet, in alternativa con Laus cerei, Benedictio cerei o Praeconium paschale. Il preconio pasquale, entrato nel rito romano fin dal Medioevo, ebbe una origine assai remota, come vedremo fra breve: fra i più risalenti esempi vi sono le fonti gallicane del Missale Gothicum di Autun (VII secolo) e del Missale gallicanum vetus (VII-VIII secolo); da questi passò nei sacramentari franchi Gelasiani, poi nei sacramentari Gregoriani; e infine entrò definitivamente nella liturgia romana, come molti altri canti e riti gallicani. Al di là della tradizionale immancabile attribuzione a sant'Ambrogio, vi sono comunque molte prove, sia della liturgia della luce, sia specificamente del preconio, nei secoli precedenti ai due messali citati. Nell'Italia centrale e, soprattutto, meridionale si mantenne una tradizione autonoma, consolidatasi con la scrittura beneventana, nella quale il testo del preconio era diverso dalla versione gallicana. Come già accennato, in queste regioni la Benedictio cerei veniva scritta su lunghi rotoli di pergamena che il diacono piazzava sull'ambone. Una particolarità interessantissima e spettacolare di questi rotoli sono le miniature che li decorano e che illustrano i temi celebrati nel canto: la notte, il mondo, il passaggio del Mar Rosso, la risurrezione di Cristo, e così via. Tali figure, molto colorate e vivaci, appaiono a testa in giù rispetto al testo, perché mentre il diacono cantava, continuava a srotolare la pergamena in avanti al di là dell'ambone ed i fedeli potevano così vedere correttamente le immagini, che li aiutavano nella comprensione del testo. Il rito paleocristiano della luce La luce possiede da sempre una valenza simbolica centrale nella teologia cristiana (basti ricordare il vangelo di Giovanni). Il rito dell'accensione del cero entrò nella liturgia già nel III secolo; prima non esistevano ancora le candele di cera, ma l'accensione delle luci ebbe da sempre comunque una grande importanza rituale, specie quando nei primissimi tempi l'eucarestia si teneva la sera (vedi post su 'Liturgia e canto nell'Eucarestia dei primi secoli'). Il rito della luce si sviluppò sia nelle liturgie occidentali che orientali; tra le più antiche formule cristiane ci è pervenuta quella della benedizione vespertina della luce - affidata al diacono! - contenuta nella Traditio apostolica (inizio III sec.); nei riti ambrosiano e mozarabico questa liturgia divenne la eucharistia lucernalis; a Roma nel I-II secolo si celebrava - in greco - il Lucernario, per il quale si componevano inni come l'antichissimo Φῶς ἱλαρόν (trasl Phos ilaròn, Luce gioiosa), risalente addirittura al I secolo. La Peregrinatio Aetheriae, ovvero il diario del viaggio effettuato in Terrasanta della pellegrina Egeria, (V secolo), riporta la testimonianza del rito della luce celebrato a Gerusalemme nella basilica del Santo Sepolcro. Durante questo tipo di liturgie, il compito di accendere le lampade e di illuminare la chiesa era affidato ai diaconi; ben presto questo ministero fu arricchito anche dell'incarico di comporre e proclamare/cantare la relativa orazione. Nel IV secolo la laus cerei era ormai un'usanza liturgica assai diffusa in molte chiese nella cristianità. Veniva quasi sempre affidata alla vena compositiva (ed alla voce) del diacono, fatto che, per esempio, provocò la vibrante protesta di san Gerolamo in uno scritto che ci rivela molto del preconio di quegli anni. Intorno al 384, Gerolamo (l'attribuzione è di dom Germain Morin) destinò una lettera al diacono Presidio di Piacenza, il quale aveva chiesto di comporre la laus per quella Pasqua. Gerolamo oppose il proprio rifiuto: egli riteneva disdicevole che cantasse un diacono e non i gradi superiori del clero, e contestava anche che spesso i testi composti dai diaconi scadevano in sconvenienti e auliche lodi delle api e dei fiori più simili alle Georgiche di Virgilio che ai testi sacri. Vi è poi una lettera del 601 di Gregorio Magno all'arcivescovo Mariniano, che attesta l’uso della laus cerei a Ravenna, a cura però del vescovo e non del diacono; anche la chiesa napoletana praticava il rito del cero pasquale, come ricordato dai Gesta episcoporum Neapolitanorum (VIII secolo). Per quanto riguarda la chiesa di Roma, troviamo il Liber Pontificalis, dove viene menzionata la concessione da parte di papa Zosimo (417-418) ai diaconi di celebrare la benedizione del cero 'per parrochias'.

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5 сен 2024

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