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Women Without Names ["Donne senza nome"] (1950) di G.von Radványi, con S. Simon, G.Cervi, V.Cortese 

My classic movies!
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"Donne senza nome" (1950) e' una storia del primo dopoguerra impersonata da donne migranti, donne esuli e transfughe, costrette in un campo profughi nel Sud piu' remoto e depresso che potesse essere immaginato, la Puglia povera e contadina di Alberobello. Pare che davvero vi fosse un campo profughi fra i trulli di allora - non le residenze estive per turisti rimesse a nuovo di oggiL - e alcune scene del film lo dimostrano. La storia del regista ungherese Géza von Radványi, anch'egli condannato a vagare registicamente fra Italia, Francia e Spagna in quegli anni difficili, la storia del film dicevamo e' una triste cronaca di sopravvivenza di donne che parlano tante lingue, vengono da diverse nazioni, eppure comprendono la loro comune condizione nel campo. I carcerieri stavolta sono italiani e inglesi, che permettono alle prigioniere una relativa liberta'che pero' non puo superare i confini del campo. Come nel film "Stromboli: terra di Dio" di Rossellini (1950), l'unica via di uscita e' il matrimonio contratto con un italiano, con tutte le conseguenze immaginabili di un 'culture shock' che pero' appare come l'ultimo dei problemi. Nel film di Radvany, come in Rossellini, viene descritto tutto questo, senza troppi giri di parole: le donne sono al centro del suo racconto, vivono, sopravvivvono, uccidono persino (per vendicare altri torti subiti in altri campi, quelli nazisti); il film appare oggi duro e sanguigno, con una splendida Simone Simon ed una bravissima Valentina Cortese, sempre a suo agio quando deve recitare in presa diretta in italiano e inglese. Prigioniera che non si rassegna a divenire moglie coatta, ma che nel drammatico finale trova una sua liberta' di donna e di madre. Gino Cervi, come sempre scelto per impersonare la bonta' e la rettitudine nell'oceano di disperazione che viene presentato, fa bene a chiudere l'intera vicenda con un atto di generosita' 'paterna' che al pubblico del tempo avra' certo lasciato qualche lacrima. Un buon film, "Donne senza nome", dimenticato a causa di una cattiva accoglienza dei critici del tempo, che giustificavano il neorealismo di un racconto solo se faceva critica sociale. Radvany invece sceglie si' la realta' ma la abbellisce proprio alla fine, mentre le altre donne, senza documenti, senza nome appunto, restano nel limbo di una esistenza tutta da inventare quando e se usciranno dal campo. Questo e' il risultato di una guerra voluta da uomini e non donne, sembra voler dire il regista, fugggito anch'egli da vari campi di prigionia.
La copia pubblicata non e' quella italiana ma quella della della versione americana, presentata a New york nel 1951, con hardsubs in inglese quando si parla italiano. Tale copia e' quella disponibile sul Web, di bassissima qualita'. E' stata migliorata con dei software commerciali, non certo in modo professionnale e altamente costoso come invece ha fatto la Ripley Home Video alcuni anni fa con la copia italiana poi pubblicata MA ORA FUORI CATALOGO. Si spera che per questo motivo l'intera operazione di divulgazione culturale su questo canale non venga poi fermata da eventuali infrazioni di copyright.
Buona visione!
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"Women Without Names" (1950) is a story of the post-war period embodied by migrant women, exiled and fugitive women, forced into a refugee camp in the most remote and depressed part of Southern Italy that could be imagined, the poor and rural Puglia of Alberobello. It seems that there was indeed a refugee camp among the trulli of that time - not the renovated summer residences for tourists of today. The story of the Hungarian director Géza von Radványi, who himself was condemned to wander between Italy, France, and Spain in those difficult years, the story of the film, as we were saying, is a sad chronicle of survival of women who speak many languages, come from different nations, yet understand their common condition in the camp. the film appears today harsh and bloody, with a splendid Simone Simon and a very talented Valentina Cortese, always at ease when she has to act in direct shots in Italian and English. A prisoner who refuses to become a coerced wife, but who in the dramatic finale finds her own freedom as a woman and a mother. Gino Cervi, as always chosen to embody goodness and rectitude in the ocean of despair that is now presented, does well to close the entire story with an act of 'paternal' generosity that will surely have left some tears in the audience of the time. A good film, forgotten because of a poor reception by the critics of the time, who justified the neorealism of a story only if it was functional to social criticism.
The copy published is not the Italian one but the American version, presented in New York in 1951, with hard subs in English when Italian is spoken mostly. This copy is the one available on the Web, of very low quality. It has been improved with commercial software, certainly not in a professional and highly expensive way.

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5 сен 2024

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