Il 2 agosto 1980 una bomba esplose alla stazione di Bologna, provocando 85 morti e 200 feriti. La strage più sanguinosa ed efferata dell’Italia repubblicana. Una ferita che ancora oggi sanguina, dopo anni di processi, depistaggi e silenzi. “Fu uno shock che ci squarciò l’anima”, racconta Edgarda Degli Esposti, sindacalista Cgil. “Questa piaga è rimasta e purtroppo non scomparirà mai”.
La mano è fascista e la strage è di Stato: la bomba ha chiuso il decennio della strategia della tensione, ovvero il tentativo della reazione e dei servizi segreti deviati di bloccare il corso democratico del Paese. I Nuclei armati rivoluzionari - formazione terroristica dell’estrema destra fascista - furono identificati come gli artefici materiali dell’attentato. “Fecero esplodere la bomba a Bologna per ciò che la città rappresentava nel mondo”, dice Luigi Pecci, tassista e sindacalista Cgil. “Bologna, però, ebbe una reazione talmente grande, talmente democratica, così partecipata che coinvolse tutta la collettività, dando un segnale forte”.
Soccorsi immediati e solidarietà diffusa. Piazza Maggiore fu il teatro delle manifestazioni che percorsero il cuore della città emiliana contro la barbarie fascista. La determinazione operaia per la verità e la giustizia. I funerali, tenuti il 6 agosto nella basilica di San Petronio, videro migliaia di persone accalcarsi attorno alla sofferenza di una nazione in lutto. Il presidente della Repubblica, Sandro Pertini, e il sindaco di Bologna, Renato Zangheri, tennero uno storico discorso alla folla.“Indimenticabile” è il ricordo di Duccio Campagnoli, sindacalista Cgil, quel giorno in piazza.
24 авг 2024
