Bello Galimbertone. È uno che 30 anni fa scriveva roba incredibile come "Il tramonto dell'occidente", che riassumeva i problemi maggiori dell'ontologia e del pensiero contemporaneo in maniera chiarissima e profonda. Uno che con due dita rompe il culo a chi vuole in pochi istanti. Dato che però è uno di cuore, s'è messo in testa da una decina d'anni di fare il divulgatore, non credo per se stesso, quanto per salvare più gente possibile e fornire strumenti d'interpretazione alla gente comune, gente che Husserl o Heidegger, o Hegel non sanno assolutamente chi siano. Massimo rispetto. (Feci la mia tesi di laurea in filosofia della scienza su Psiche e Techne)
Ha fatto bene Severino, di cui Galimberti si considera allievo, a dire che egli ha frainteso e dimenticato, a proposito della tecnica, di considerare le determinanti più impotranti. Il discorso di Galimberti non è altro che la ripetizione del senso comune.
Ma il mondo non è sempre andato così? Non si è sempre stati pedine degli Stati, dei loro apparati, delle chiese? Nelle scuole ottocentesche importava qualcosa dello studente e dei suoi vissuti?
Importava, sì: ti davano l'insufficienza nel tema se non ti allineavi ideologicamente con l'insegnante e questo fino agli anni cinquanta almeno. Berlusconi era un asso nei temi di italiano e li vendeva addirittura.
E allora? Una volta capito che ormai siamo i servi degli apparati tecnici, i casi sono due: a) farsi furbi e passare dalla parte di chi progetta gli algoritmi; b) subire, tacere e sperare che ti lascino sopravvivere. Ieri era diverso? No: ieri prendevi cinque nel tema di italiano dalla professoressa cattolica se dicevi che eri ateo. Fortunati i filosofi da tv che hanno il plauso degli scontenti.
Poi c'era anche qualche insegnante intelligente e compassionevole che dava agli studenti l'occasione di esprimersi veramente, come il professore di Vitaliano Trevisan alle superiori, ma, per gran parte, il tema era un esercizio di allineamento ideologico con la scuola benpensante.