Le prime brasciole, io brescianello, le mangiai ad Alberobello sotto Natale, nel lontanissimo 1971 che ero ragazzotto, in un localetto in Corso Triete e Trento o Via Battisti. Ne fui fulminato, come Paolo sulla via Damasco e da quando sono adulto le rifaccio almeno una volta all'anno. Le sto cucinando proprio adesso, secondo la formula tradizionale e più semplice. Prego in ginocchio che la falda di cavallo - che noi chiamiamo sfelsàia e costa ben 17 euro/kg - riesca questa volta più morbida dell'anno passato; certo era di cavallo, ma probabilmente era la sella. Dopo quattro ore di cottura lenta in sugo abbondante la brasciola opponeva ancora una ferrea resistenza alla forchetta, più dura dei russi di Leningrado durante l'assedio tedesco del 1941-1944. Forse non ci sono più i cavalli di una volta, o più verosimilmente Sud batte Nord 5-1 per la qualità delle carni rosse; ho fatto le ferie estive in quel di Fasano per 18 anni e parlo con conoscenza di causa. Ahimènon sono riuscito neanche stavolta a trovare le gaddùse e ho dovuto accontentarmi di un pallido ginocchio di manzetta con qualche ciccio attorno che ho integrato con un po' di ritagli di prosciutto. Ma avete visto il colore delle gaddùse usate da Pino De Paolo? Sono gialle, indice che la bestia ha pascolato sul secco e/o ha passato almeno i 24 mesi. Come si fa a concorrere con roba così? Per ultimo "gaddùse" è maschile o femminile e inoltre, qual'è l'etimo? Forse significa "callose"? Un fraterno saluto alla cucina pugliese, Andrea Breda (Brescia)