I giochi spensierati, l'aiuto alla mamma per appendere i grappoli nel veccho granaio, il cavallo come forza motrice nei campi.
E poi la microfiltrazione, l'introduzione del freddo in cantina, l'abbandono dell'anidride solforosa.
I ricordi e l'innovazione, l'emozione dei tempi andati e la capacità di sorprendere immaginando un futuro diverso per il vino.
Sandro Gini è, a mio avviso, una delle figure più carismatiche nel mondo del vino italiano, perché l'intensità del suo percorso è tale da meritare rispetto in ogni sua tappa.
In questo video l'ho invitato a ripercorrerla la sua storia, in cui non ha risparmiato aneddoti e ricordi umani e incredibili, che rendono perfettamente la grandezza di una persona che ha creduto fortemente in ciò che faceva, al punto perfino, nel 1985, di rischiare tutta la produzione di quell'annata: 850 ettolitri che per la prima volta al mondo venivano messi in fermentazione senza anidride solforosa, una scelta avversata da tutto il mondo accademico enologico che poi si è dovuto puntualmente ricredere.
Ma l'emozione vera me l'ha trasmessa nel vecchio granaio di famiglia. E' lì che, attraverso i suoi ricordi, è entrato nella verità contadina del recioto di Soave: la pazienza, la selezione dei grappoli migliori, l'attesa per la pigiatura quando si ripete, di fatto, la vendemmia, l'assaggio del mosto dolcissimo...
E poi Campiano, la località dove, 35 anni fa, insieme alla sua famiglia decise di acquistare i terreni abbandonati, circa 30 ettari, destinati alla produzione di uve rosse, quelle dei vini della Valpolicella, in primis l'amarone.
Una scelta maturata in tempi che potremmo definire non sospetti, perché all'epoca l'amarone non era ancora in auge come ora.
Infine, la longevità della discendenza. Sandro è la quattordicesima generazione, ma esistono già sia la quindicesima, i figli suoi e del fratello Claudio, e la sedicesima, con i nipotini che sono entrati da poco ad allargare la famiglia.
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3 окт 2024